Alfie: il bimbo di 23 mesi si è spento nella notte. La famiglia, "Abbiamo il cuore spezzato"

Non ce l'ha fatta, Alfie Evans, a tornare a casa. E' morto nella notte, alle 2.30, in una stanza di quell'ospedale pediatrico dal quale i genitori – due giovani della working class di Liverpool - avevano disperatamente tentato di allontanarlo, per offrirgli una speranza.

Il mio gladiatore ha posato lo scudo e si è guadagnato le ali”, ha scritto il padre. Ha vinto insomma la ferrea volontà dello staff ospedaliero - e del sistema giudiziario britannico -, di staccare la spina, dopo la diagnosi di una malattia neurodegenerativa sconosciuta. E questo nonostante il bimbo – contro ogni aspettativa – avesse continuato a respirare, fra la braccia della madre, anche dopo lo spegnimento del ventilatore meccanico.

“In questa vicenda tutti hanno ragione e nessuno ha ragione. Si confronta la rigidità anglosassone con l'emotività mediterranea”. Così il Presidente del Comitato di Bioetica di San Marino, Virgilio Sacchini, che ricorda come – in Repubblica – si stia affrontando il tema del fine vita. Certo è che questa vicenda ha innescato una gara di solidarietà, che ha visto l'Italia in prima fila, con la concessione della cittadinanza e la disponibilità ad ospitare il piccolo in centri di eccellenza. Inutili – alla fine - anche gli appelli del Papa. Il Vaticano ha stigmatizzato quello che ha definito un “principio economicistico della vita”.

Quella di Alfie, insomma, sarebbe stata troppo costosa. Di diverso avviso la Giustizia britannica, secondo la quale, la vita del piccolo, non sarebbe stata degna di essere vissuta. “C'era una famiglia che viveva per questo bambino - afferma Sacchini -, che si impegnava perché stesse meglio; quindi è difficile giudicare quando una vita è degna o non degna”.

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