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Auto elettriche dal 2035 l'esperto: “Grande opportunità per l'Europa, obbligati dalla fine del petrolio”

Intervista al professor Leonardo Setti, ricercatore di Chimica industriale all'Università di Bologna, che vede in questo cambiamento l'inizio di una nuova terza rivoluzione industriale.

di Filippo Mariotti
1 mar 2023
Auto elettriche dal 2035 l'esperto: “Grande opportunità per l'Europa, obbligati dalla fine del petrolio”

“Lo stop alla vendita dei motori endotermici non è una scelta, ma un obbligo”. Sulla decisione del Parlamento europeo di vietare la vendita di nuove auto diesel e benzina a partire dal 2035 - disposizione che ha incontrato non poche voci contrarie -, abbiamo sentito Leonardo Setti, professore di Chimica Industriale all'Università di Bologna che da oltre 20 anni svolge ricerche nell'ambito delle tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Dalla sua intervista scaturisce uno scenario di grande opportunità per l'Europa in vista di quella che definisce “nuova terza rivoluzione industriale”, pur in un contesto in cui il Vecchio Continente si vede costretto a cambiare, ma non per scelta.

Innanzitutto un commento su questa decisione
“Stiamo passando dal sistema dei combustibili fossili a quello delle rinnovabili. E dobbiamo farlo per due ragioni. La prima: i cambiamenti climatici rappresentano un problema serio e dobbiamo affrontarlo uscendo dai combustibili fossili; non solo carbone, ma soprattutto diesel, benzina e metano. La seconda, ancora più grave, riguarda la disponibilità dei combustibili fossili. Sappiamo che questa tipologia di combustibile può soddisfare la richiesta mondiale fino al 2035. Il 15% di tutti i combustibili fossili, ad oggi, vengono prodotti negli Stati Uniti che è il primo produttore mondiale di petrolio e di gas metano; ma questa produzione, per il 70-80% avviene da fracking [che sfrutta la pressione dei liquidi per provocare delle fratture negli strati rocciosi più profondi del terreno, ndr]. Oltre ad essere una tecnologia devastante per il sottosuolo, sappiamo che con questa tecnologia, avremo petrolio e gas al massimo per altri 11 anni a queste quantità. Oggi negli States, tramite frackiing, vengono estratti 15 milioni di barili di petrolio al giorno sui 19 totali; mentre sono 21 quelli che gli Stati Uniti consumano. Quando verranno a mancare questi 15 milioni di barili, gli Usa li andrà a cercare in Medio Oriente, in particolare in Arabia Saudita che con 14 milioni di barili estratti è il secondo produttore mondiale. Quindi ha una produzione non sufficiente neanche per i soli Usa. Il punto, dunque, è che dal 2035 non avremo petrolio per tutti”.

Questo scenario cosa comporterà?
“In Medio Oriente ci troveremo con tre soggetti che competono sulle stesse risorse: Europa, Cina e Stati Uniti. E molto difficilmente l'Europa potrà impedire agli altri due - vere locomotive che muovono il mondo - di prendere la propria parte di petrolio; dei tre il più debole è senz'altro l'Europa, che quindi rimarrà senza. Dal 1980, quando i gendarmi del mondo erano gli Stati Uniti, sono cambiate molte cose; la Cina, all'epoca, aveva il terzo Pil mondiale. Oggi la Cina è il primo Pil mondiale, ma non solo: il suo Pil è la somma di quelli di Europa e Stati Uniti. Non possiamo quindi pensare che nel 2035 potremo competere con un miliardo e trecento milioni di persone che sono in Cina e i 350 milioni degli Stati Uniti. Quindi inevitabilmente nel 2035 l'Europa dovrà uscire dai combustibili fossili, che piaccia o meno. Da questo ne deriva che una data d'uscita va messa per forza. Data che serve alle industrie per prepararsi a sopperire a questa necessità”.

Ma nel 2035 l'Italia sarà pronta? Quali le infrastrutture che serviranno per il cambiamento?
“Se non cominciamo questo percorso, nel 2035 il costo dei combustibili fossili sarà talmente alto che porterà fuori mercato chi non è abbastanza ricco da poterseli permettere. Partiamo poi dai numeri: oggi dalla rete elettrica italiana, che è la migliore al mondo e fra le più copiate per la sua efficienza, passano 320 terawattora all'anno, che è il consumo elettrico italiano. Di quanto aumenterà il consumo se trasformeremo tutti i trasporti in elettrici? Sarà, al massimo, di 108 terawattora; ma se gestiremo bene i trasporti pubblici e privati, ne avremo bisogno anche di meno. Quindi da 320 passeremo a 428 terawattora, cioè un aumento del 30% del fabbisogno di energia elettrica. Questo 30% potrebbe essere già prodotto oggi con la stessa rete elettrica italiana, semplicemente accendendo quelle centrali termoelettriche che sono spente. Quindi, ci tengo a sottolinearlo, non è un problema di rete o capacità di sopperire al fabbisogno. La domanda è un'altra: riusciremo a produrre questa energia elettrica attraverso le fonti rinnovabili? E sappiamo che è possibile anche questo. Va inoltre tenuto conto che solo dal 2035 inizieremo ad avere molte automobili elettriche per raggiungere l'obiettivo di un parco auto completamente elettrico nel 2050. E in quasi 30 anni è possibile ristrutturare completamente il modo di produrre energia, stoccarla e distribuirla. La data del 2035 serve appunto per iniziare il percorso; senza una "dead line", sia le persone che le aziende prenderanno tempo perché sappiamo che non è facile abbandonare una "comfort zone". Va detto anche l'Italia in particolare è in fortissimo ritardo su questo fronte: la Norvegia invece è leader sulla mobilità elettrica ed anche Germania, Francia e Inghilterra sono molto più avanti. L'Italia non ha ancora costruito percorsi per portare e indirizzare le persone verso l'elettrico; infatti stiamo ancora discutendo – che è una cosa assurda – se è quella la strada giusta o no, quando gli altri la strada l'hanno già imboccata in maniera decisa.

Parliamo allora dello stoccaggio dell'energia elettrica
“Lo stoccaggio è elettrochimico, parliamo dunque di batterie. E su questo punto vedo e leggo di molti dubbi. Partiamo col dire che già oggi stanno entrando quelle sodio-ferro-fosfato al posto delle litio-ferro-fosfato. Non abbiamo più cobalto nelle batterie, cosa che solo qualche anno fa sembrava impensabile. Cobalto che invece è ancora presente negli smartphone e nei computer. Dobbiamo assolutamente andare verso lo stoccaggio dell'energia perché il sole non c'è sempre, così come il vento, quindi occorre compensare le intermittenze. 10 chilowattora in accesso, prodotti da qualsiasi tecnologia rinnovabile, se li mettiamo in una batteria, questa me ne restituisce 9, cioè ha un 90% di rendimento; se li metto per pompare acqua nelle dighe e trasformarla in idroelettrico (accumulo gravimetrico) questo me ne restituirà solo 7; se invece li mettiamo in idrogeno – il sogno degli italiani, oltre ad essere il vettore verde dei petrolieri perché ci vuole una raffineria per fare l'idrogeno – ce ne restituisce soltanto 3. Quindi l'unica tecnologia efficiente è l'elettrochimica. Come si utilizzerà la batteria? I grandi sistemi di accumulo per stabilizzare la rete sfrutteranno proprio l'automobile: per 10 – 15 anni, che è il tempo di vita media di un'auto, la batteria starà dentro l'auto, poi quando non avrà più una capacità soddisfacente, verrà utilizzata per quella che chiamiamo “seconda vita della batteria” all'interno di container o nelle case, per trasformarla in un sistema di accumulo statico per la rete. Rimarrà altri 20 anni in questa situazione, poi - quindi a 35 anni dalla sua produzione - verrà riciclata al 94% e tornerà a diventare batteria. Questa è la strategia che dobbiamo mettere in campo. Altri numeri importanti: in Italia abbiamo complessivamente 54 milioni di autoveicoli, di cui 34 milioni solo nelle famiglie. Quindi se noi cambiamo 1,2 milioni di auto all'anno, per cambiare il parco auto delle solo famiglie ci vorranno 30 anni. Ciò fa capire che bisogna partire prima e non a ridosso della "dead line", altrimenti si rischia di non riuscire a cogliere il passaggio e “andare troppo lunghi”. La data del 2035 diventa fondamentale per avere il tempo necessario per arrivare pronti al 2050 e la strategia dell'automobile elettrica è propedeutica alla strategia per stabilizzare la rete”.

Cosa risponde a chi dice che sarà molto difficile smaltire le batterie e che prospetta un grosso danno ambientale?
“Il nostro cervello mette barriere al cambiamento. Per non cambiare dice: “Il nuovo sarà peggio di come stavamo facendo finora”. Spieghiamo la situazione: in 10 anni, per fare 15-20mila chilometri all'anno, in una Panda avremo messo 13mila chilogrammi di carburante. E di questi chili di benzina, diesel o metano, quanti ne avremo riciclati in 10 anni? Zero! Invece in un'automobile elettrica c'è una batteria che pesa circa 500 chilogrammi e che sta lì per almeno 10 anni e poi avrà una seconda vita. Ci poniamo il problema della batteria e non ci poniamo quello di riciclare 13mila chili di benzina? Che è molto più devastante. E mi si dirà che per produrre una batteria ci vogliono materiali. Vero. Ci vuole acqua. Vero. Ci vuole energia. Senz'altro vero. Ma sappiamo quanta acqua ci vuole, per esempio, per estrarre un barile di petrolio negli Stati Uniti? Ce ne voglio 8 d'acqua [un barile corrisponde a 159 litri, ndr]. E bisognerebbe anche sapere che un pozzo petrolifero negli Usa dura 5 anni e ogni anno si fanno 15mila pozzi petroliferi per mantenere le produzioni di oggi. Bisognerebbe sapere che nel Texas ci sono 1,2 milioni di pozzi petroliferi, tanto che vengono chiamate “coltivazioni petrolifere” perché in quello Stato ci sono più pozzi che alberi. Ci sono 360 terremoti all'anno per effetto del fracking. E tutto ciò è una cosa che stiamo già facendo. Mentre le batterie avranno sicuramente una evoluzione: oggi utilizziamo il litio, ma ci sono già quelle sodio-ferro-fosfato. Il sodio è il terzo elemento più abbondante in natura dopo il silicio con cui facciamo il fotovoltaico. Non possiamo pensare che il sistema che stiamo utilizzando oggi sarà lo stesso che utilizzeremo tra 30 anni; ci saranno sicuramente importanti evoluzioni. Per chiudere: oggi stiamo facendo cose molto più devastanti di quelle che probabilmente faremo nel 2050. E a chi dice che si dovrebbe puntare sul nucleare per fare meno batterie, dico semplicemente che l'uranio è più raro del litio. E non possiamo reciclarne neanche un milligrammo. Gli elementi davvero rari sono nelle marmitte catalitiche dove troviamo il rodio che è più prezioso dell'oro. L'oro va a 55 dollari al grammi, il rodio a 398. C'è poi il platino, il palladio. Mentre il litio costa 56 dollari al chilogrammo, cioè mille volte di meno perché è il 26esimo elemento più abbondante che abbiamo in natura. Tanto le marmitte catalitiche stanno andando letteralmente a ruba".

Uno scenario molto meno preoccupante rispetto a quanto letto e detto finora
"Dobbiamo vedere questo cambiamento non solo con ottimismo, ma come una grande opportunità. La cosa incredibile è che non lo vede la politica e neanche le industrie che invece si dovrebbero buttare a pesce perché è il modo con cui torneremo a fare una nuova terza rivoluzione industriale. E quindi un nuovo boom economico".





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