"La sfida educativa è l'accoglienza dell'altro, cioè uscire da una logica di autoreferenzialità, di individualismo che forse è il veleno, insieme alla solitudine e all'individualismo. Sono le due facce della stessa medaglia. Passiamo il tempo a cercare di non avere legami forti, di non essere imprigionati da relazioni e poi ci ritroviamo soli. Quindi la prima sfida educativa è insegnare alle nuove generazioni che i legami sono buoni, che se un padre e una madre stanno insieme, se vogliono bene i loro figli, è perché quel legame lì li fa vivere meglio. Come dire, stare tra di noi aiuta la felicità delle persone e invece poi tentiamo sempre di scappare. I legami ci costringono, pensiamo che i legami siano dannosi rispetto alla nostra libertà e proviamo ad autorealizzarci da soli" - spiega Francesco Belletti, direttore del Centro Internazionale studi famiglia.
"Questa è una grande sfida culturale perché riguarda anche il modo in cui si studia, il modo in cui si sta nella classe, il modo in cui si lavora, perché chiede cooperazione e non competizione. Chiede fiducia reciproca tra le persone e non meccanismi di difesa o di omertà o di mancata trasparenza. Quindi è una grande scommessa quella educativa oggi, guardare l'altro come se fosse un compagno di viaggio e non un competitore. La sfida educativa è una sfida anche di testimonianza e di contenimento perché un bambino, un ragazzo vuole conquistare il mondo e ha bisogno di istruzioni per l'uso, non ha certo bisogno di un codice rigido, non ha bisogno solo di divieti, ma non può pensare che tutto sia possibile perché la realtà non è così e quindi i genitori che accettano la sfida si mettono lì e dicono "no, questa cosa non si può fare", di questa cosa ti consiglio di guardare le conseguenze e non dire semplicemente fai quello che vuoi perché è il peggior dono che possiamo fare ai nostri figli, dire sei padrone e solo davanti al tuo destino. Quindi questo tema dei no è importante. I social, il digitale, questa è nuova rivoluzione che abbiamo attraversato da pochissimi anni. Nel 2007 è stato lanciato il primo smartphone e quindi non sono neanche vent'anni che ci stiamo confrontando con una cosa che ha cambiato la vita di tutti dagli ottantenni ai bambini di dieci anni. Allora questo mondo è un mondo molto potente, ha regole molto forti, i social sono pensati per generare dipendenza, ti costringono a stare il più possibile, ti costringono ad aspettarti dai social la soddisfazione, i like, gli apprezzamenti degli altri, costruisci la tua autostima su questo versante digitale e questo è molto rischioso. Certo con i social per esempio durante la pandemia i nostri figli hanno avuto una valvola di sfogo, una via di uscita, non sono stati chiusi in casa ma avevano una finestra sul mondo e sulle loro relazioni, ma poi se uno invece resta invischiato in questo, al di là di tutti i rischi che comunque il mondo del digitale propone, c'è questo rischio di reale dipendenza e anche di paura dell'altro. Molto spesso parlare attraverso i social significa mettere una barriera con l'altro, non guardarlo in faccia, non stare davanti a lui e dirgli una cosa spiacevole per potersi sentire dire, ma piuttosto l'idea, ti mando un messaggio, poi tu ci pensi, è un'interazione falsa, incompiuta rispetto al rapporto faccia a faccia".
Nel video l'intervista a Francesco Belletti, direttore del Centro Internazionale studi famiglia