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Diligite Iustitiam. Editoriale del Dg Carlo Romeo

29 set 2020
Diligite Iustitiam. Editoriale del Dg Carlo Romeo

Uno dei grandi nomi del diritto italiano è sicuramente quello di Giovanni Canzio, il cui impegno è sempre stato incentrato sul massimo equilibrio e al tempo stesso sul più assoluto rigore nei confronti della legge e dello spirito della legge.
Ebbi modo di ascoltarlo, ormai diversi anni fa, quando a Milano evidenziava alcune criticità che potevano corrodere quella necessaria fiducia che il cittadino deve avere nel sistema giudiziario e nelle donne e negli uomini che lo rappresentano.
In quella occasione Canzio rimarcò la piaga di una giustizia troppo lunga per essere adeguata alle circostanze, la pericolosa tendenza a spettacolizzare i processi da parte di certi magistrati, condizionati da una eccessiva autoreferenzialità che finiva per mettere in ombra il lavoro oscuro e rigoroso della maggioranza dei loro colleghi, impegnata nell'esercitare quotidianamente l'opera di garantire giustizia in un Paese che è patria del diritto ma spesso o talvolta - come aggiungeva Montanelli - anche del rovescio.

Il Presidente Canzio ha sempre posto al centro della sua attività di uomo di legge la libertà della persona, l'habeas corpus, la chiarezza dei confini oltre i quali lo Stato non può e non deve spingersi. Di contro, il dovere assoluto di garantire la giustizia per tutti, senza soggiacere a poteri forti non sempre evidenti, la coscienza di un potere che può essere definito senza dubbio terribile quale è quello giudiziario, che ha nelle sue mani la vita stessa di persone e comunità. Le sue sono parole di giustizia che rifiutano da sempre l'arroganza, parole di fortissima sacralità per la propria missione e che spesso Giovanni Canzio ha ripetuto nel corso della sua esperienza di uomo di legge. Non è peraltro marginale che il mondo degli avvocati abbia sempre riconosciuto in lui un interlocutore rispettoso, anche se fermo nella propria responsabilità. Proprio questo rispetto, fatto di reciproca autorevolezza, senza commistioni e terre di nessuno pericolose in un ambito come quello del tribunale, ne hanno caratterizzato il percorso. È sufficiente parlare con i numerosissimi avvocati che lo hanno incontrato professionalmente per sentirla riconoscere questa autorevolezza che - come tutte le vere autorevolezze - deriva dal profondo, gravosissimo senso di responsabilità per la propria missione con la massima dedizione a un fine quale quello della amministrazione della giustizia, fondamentale per qualsiasi tessuto sociale dove non c'è né ci potrà mai essere pace senza giustizia.

È veramente una grande occasione per San Marino, il cui tribunale versa in una situazione che sotto certi aspetti può ricordare - lo abbiamo detto più volte, giornalisticamente parlando - realtà simili alle peggiori Beirut o Mogadiscio.
Il Presidente Canzio sa bene come affrontare questi non sconosciuti terreni e siamo certi saprà ricostruire da una lato una nuova generazione di magistrati e al tempo stesso la fiducia, oggi molto offuscata e confusa, della stragrande maggioranza del Paese nei confronti del suo tribunale.
Un grande in bocca al lupo dunque dal sottoscritto e da tutta Radiotelevisione di Stato della Repubblica, con profonda, antica stima e assoluta fiducia, nonché con una rispettosa e discreta solidarietà per il nuovo gravoso impegno sul Titano in nome di quella Giustizia con la G maiuscola cui ha dedicato la vita. È stata una buona scelta da parte di San Marino e c'è da essere lieti e fiduciosi che il Presidente Canzio abbia accettato questa ennesima sfida. Diligite iustitiam, qui iudicatis terram, resta ancora una nuova antichissima verità.

cr


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