L’ictus è una delle principali cause di disabilità e mortalità nei Paesi occidentali, ma intervenire nelle prime ore può cambiare radicalmente la prognosi. Riconoscere i sintomi, rivolgersi immediatamente a un centro specializzato e conoscere i propri fattori di rischio sono i primi passi per ridurre l’impatto di questa patologia. Ne abbiamo parlato con Simona Marcheselli, neurologa e responsabile della Neurologia d’Urgenza e Stroke Unit dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas, che ci ha spiegato come si manifesta un ictus, chi è più a rischio e quali strategie di prevenzione e riabilitazione possono davvero fare la differenza.
Dottoressa, quali sono i primi segnali di un ictus?
Riconoscere un ictus significa individuare dei sintomi neurologici “a carattere focale”. Vuol dire che una parte del corpo smette improvvisamente di funzionare come dovrebbe, ad esempio:
- non riesco a muovere bene un braccio o una gamba,
- non vedo più metà del campo visivo,
- non riesco a esprimermi correttamente o a comprendere quello che mi viene detto.
- un altro segnale è la disartria, cioè quando si parla come se si avessero “le patate in bocca”.
Li definiamo “a carattere focale” proprio perché legati a una specifica area del cervello. La perdita di coscienza da sola o altri sintomi aspecifici non sono sufficienti per parlare di ictus. Intervenire subito è fondamentale.
Quanto è importante intervenire subito?
Oggi la finestra terapeutica si è molto allungata grazie a tecniche di imaging avanzato (TAC particolari) che ci permettono di capire se ci sono ancora aree di cervello “salvabili”. Quando un ictus si manifesta, il cervello non riceve più ossigeno: i neuroni iniziano a morire, ma intorno alla zona colpita ci sono aree che possono ancora essere recuperate. Nelle prime ore — fino a circa 9 ore dall’esordio, nei centri attrezzati — è possibile intervenire con farmaci che sciolgono l’embolo che ha ostruito l’arteria oppure con la trombectomia, una procedura endovascolare che consente di rimuovere il trombo e ripristinare l’apporto di ossigeno. L’obiettivo è salvare il maggior numero possibile di cellule cerebrali.
Chi è più a rischio di ictus? Quali sono i principali fattori di rischio?
I fattori di rischio si dividono in due grandi categorie, legate all’età di insorgenza. Nei pazienti più anziani, i principali fattori di rischio sono:
- le cardiopatie - in particolare la fibrillazione atriale che altera il ritmo del cuore -, che giocano un ruolo importante nei soggetti di età più avanzata;
- l’ipertensione arteriosa e il diabete, fattori di rischio importanti per le lesioni ischemiche definite “lacunari”;
- le placche aterosclerotiche alle carotidi, in pazienti che soffrono di una malattia aterosclerotica importante.
Nei pazienti più giovani, invece, i fattori di rischio sono diversi:
- alterazioni della coagulazione, anche legate all’uso di contraccettivi orali nelle donne;
- emicrania (in alcuni casi può associarsi a rischio di ictus);
- malformazioni cardiache;
- malattie genetiche.
Cosa succede dopo un ictus? Esistono percorsi di cura e riabilitazione? Quali sono le prospettive di recupero?
Sì esistono e molto dipende dalla tempestività dell’intervento. Se si interviene precocemente nella fase iperacuta, la parte di cervello danneggiata sarà minima, avremo delle lesioni ischemiche piccole, quindi una “restitutio ad integrum” quasi immediata. L’obiettivo dell'intervento precoce è proprio quello di ridurre al minimo la disabilità post-ictus. Soprattutto nei casi più gravi o se non si è potuto intervenire subito, il ricovero in una Stroke Unit diventa fondamentale. In queste strutture si avvia il trattamento riabilitativo già nelle prime ore: è cambiato proprio il paradigma, la riabilitazione dell'ictus deve essere fatta immediatamente.
La Stroke Unit serve a:
- gestire la fase acuta;
- gestire le complicanze (infezioni polmonari, urinarie, aritmie, problemi cardiaci);
- individuare la genesi dell’ictus (problema carotideo, cardiaco, ecc.);
- impostare la prevenzione secondaria, cioè la terapia per evitare recidive.
E per quanto riguarda la prevenzione, cosa consiglia?
La prevenzione primaria è fondamentale e dovrebbe iniziare presto.
Consiglio di:
- controllare regolarmente la pressione, ed effettuare esami ematici di controllo almeno una volta all’anno con particolare attenzione a glicemia e colesterolo;
- eseguire un Doppler delle carotidi almeno una volta dopo i 50 anni, e poi ripeterlo in base al risultato;
- a prescindere dall'età, praticare attività fisica aerobica — come una camminata a passo veloce — per almeno 30-40 minuti al giorno.
In assenza di patologie cardiache o altri fattori di rischio importanti (come infarto o fibrillazione atriale o stenosi carotidee) non è indicata una terapia anticoagulante o antiaggregante preventiva. Quando invece si è già avuto un evento, si parla di prevenzione secondaria, che si basa sull’individuazione e il controllo dei fattori di rischio che hanno causato l’ictus.