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L’intreccio dei diritti

5 apr 2017
L’intreccio dei diritti
L’intreccio dei diritti
Le recenti affermazioni del Procuratore Capo di Roma, Giuseppe Pignatone, sulla diffusione di informazioni segrete, pubblicate su “la Repubblica”, inducono ad alcune riflessioni sul tema e gli aspetti collaterali.
Se è vero, come vero, che esiste un diritto alla privacy, sancito per legge e noto più o meno a tutti, anche se spesso la sua interpretazione può spesso piegarsi alle esigenze degli interessati e diventare più soggettiva che oggettiva, è altrettanto vero che nell'esercizio di una attività delicata come quella dell’informare esiste un ventaglio piuttosto ampio di altri diritti e doveri che vanno tenuti in debito conto ogni qualvolta ci si trovi nella condizione di divulgare una notizia, qualunque essa sia.
In primo luogo c'è, indubbiamente, il diritto-dovere di rendere edotta l'opinione pubblica di un fatto, tanto più quando questo è assolutamente rilevante per la collettività.
Dobbiamo sapere! È un nostro diritto per poter esercitare ogni genere di controllo democratico su qualunque atto pubblico o forma di gestione del potere; dobbiamo conoscere quali eventuali distorsioni siano state messe in atto da chiunque eserciti il potere temporale conferitogli dagli elettori; dobbiamo essere informati sui possibili abusi o soprusi istituzionali o professionali, per poterci tutelare, come cittadini, nei confronti di chi abbiamo delegato a rappresentarci in ogni ambito. Ma dobbiamo anche avere la garanzia che le informazioni che ci vengono proposte siano in primo luogo veritiere, accertate e verificate e che rispondano ad una serie di requisiti ai quali non possiamo rinunciare, neppure di fronte alla morbosa seppur giustificata curiosità che ci muove quando il fatto in questione ha ricadute sulla comunità, sulla vita sociale.
È proprio qui che, al dovere di informare, si affiancano una serie di diritti.
Il primo, che la notizia non sia strumentale alla tutela di interessi di parte o al raggiungimento di obiettivi non confessati. Troppo spesso certe divulgazioni di informazioni riservate, rischiano di tornare utili a qualcuno o di danneggiare qualcun altro. L'uso di rivelazioni “passate sotto banco” o arrivate da canali privilegiati, nascondono quasi sempre insidie non controllabili, che rischiano di minare il principio della verità e della imparzialità.
Certo, è indispensabile che i cittadini vengano informati se qualcuno viene arrestato; importante che sappiano quali responsabilità vengono addebitate; fondamentale che la magistratura o altri organi di controllo perseguano comportamenti scorretti e reati di ogni natura e puniscano i responsabili. Chi ha il compito di informare, però, deve saper trovare, nell'interesse di tutti, il giusto punto di equilibrio tra la divulgazione della verità e la tutela dei diritti di cui abbiamo già detto, quei diritti che si intrecciano e che spesso non sono neppure contemplati da norme giuridiche o articoli di legge. Ad esempio, come afferma il Procuratore Pignatone, il “diritto alla difesa”, a conoscere cioè fin nel dettaglio gli atti di accusa e a poter fornire anche attraverso i media, una loro ricostruzione o spiegazione di fatti, quando questi siano stati divulgati riportando solo la posizione di una parte.
Credo però debba essere tenuta in buon conto anche una tutela troppo spesso misconosciuta, come il “diritto alla reputazione”.
Un diritto che riguarda certo le singole persone ad essere rispettate e a non essere inopinatamente sottoposte alla cosiddetta “gogna mediatica”, che va esteso anche alle imprese, le aziende e le organizzazioni legali di ogni natura, ma che riguarda sicuramente una collettività, una comunità, un Paese, uno Stato, a volte vittime inconsapevoli di una certa smania di pubblicare notizie e commenti che finiscono per danneggiare anche chi opera onestamente e si prodiga per l'affermazione di valori e principi profondi. Un aspetto che chi informa dovrebbe tenere sempre presente, domandandosi anche gli effetti che una notizia o un titolo possono provocare sulle persone, le famiglie, la collettività. Certo senza censurare mai nulla per questo. È solo una questione di buon senso. In sostanza: informazione assolutamente libera e indipendente, senza però mai perdere di vista il senso di sobrietà e di responsabilità.

SB

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