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Pillole di iodio, è giusto farne scorta? L’esperto spiega i rischi e quando assumerle

12 mar 2022
Il Prof. Alfredo Pontecorvi
Il Prof. Alfredo Pontecorvi

L'invasione russa in Ucraina e i combattimenti intorno alle centrali nucleari di Chernobyl e di Zaporizhzhia hanno scatenato la corsa in farmacia in alcuni Paesi europei a caccia delle pillole a base di iodio. Finora sono state utilizzate nell'ambito di incidenti che hanno coinvolto centrali di energia nucleare, come le esplosioni negli impianti di Chernobyl nel 1986 e di Fukushima nel 2011. Ma servono davvero in caso di possibile esposizione a radiazioni?
Benedetta de Mattei ne ha parlato con il Prof. Alfredo Pontecorvi - Direttore della U.O.C. di Medicina Interna, Endocrinologia e Diabetologia del Policlinico Agostino Gemelli di Roma e Professore Ordinario di Endocrinologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore - per capire cosa sono esattamente le pillole di iodio e quando vanno assunte.

Cosa sono le pillole di iodio anti radiazioni e come funzionano
Sono compresse o anche soluzioni di ioduro di potassio e servono a saturare l’organismo di iodio in modo da impedire l’assorbimento di iodio radioattivo soprattutto da parte della tiroide, ma anche dalle ghiandole salivari o dalla mammella in corso di allattamento. L’eccesso di iodio non radioattivo compete con lo iodio radioattivo impedendone l’assorbimento all’interno delle cellule ed evitando di causare danni da radiazioni. La somministrazione di iodio 'buono' per bloccare l’assorbimento intratiroideo di iodio radioattivo è una profilassi prevista da tempo in caso di incidenti nucleari e utilizzata con ottimi risultati a Fukushima nel 2011 o dalla Polonia dopo l’esplosione del reattore nucleare di Chernobyl nel 1986 Quando è utile assumerle? Le pillole di iodio sono utili esclusivamente in caso di effettiva esposizione a iodio radioattivo e non vanno assunte preventivamente e in maniera autonoma ma solo in caso di reale e accertato pericolo nucleare e solo su indicazione delle Autorità competenti. Non ha alcun senso assumerle oggi anche perché un eccesso di iodio potrebbe avere ripercussioni negative importanti sul funzionamento della ghiandola tiroidea.



Quali possono essere gli effetti collaterali?
Se si ingerisce per un determinato periodo di tempo una quantità di iodio superiore a 600 microgrammi (4 volte superiore alla dose raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) c’è il rischio di sviluppare una tiroidite cronica autoimmune (tiroidite di Hashimoto) in cui la tiroide viene progressivamente distrutta generando una condizione di ipotiroidismo; nei soggetti che sono invece a rischio di ipertiroidismo assumere un eccesso di iodio può essere ancora più pericoloso perché potrebbe scatenare forme violente di ipertiroidismo e indurre gravi aritmie cardiache, dalla fibrillazione atriale, spesso prodromo di un ictus cerebrale, a vere e proprie crisi tireotossiche anche mortali.

Potrebbe essere utile farne scorta?
Vorrei ancora ribadire che le pillole di iodio potrebbero servire esclusivamente nel caso in cui ci fosse la fuoriuscita di grandi quantità di iodio radioattivo da una centrale nucleare. Putin ha invece velatamente minacciato di utilizzare l’arsenale nucleare russo e in tal caso l’esplosione non libererebbe iodio radioattivo ma bensì sprigionerebbe nell'aria altre sostanze radioattive, che tendono a fissarsi invece in tutti i tessuti e nelle ossa potendo provocare tumori del sangue, come leucemie e linfomi, del polmone, dell’apparato gastro-intestinale. Questo è quello che si è osservato dopo le esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki ma anche dopo la ricaduta accidentale sugli atolli del Pacifico della nube radioattiva rilasciata dai test atomici effettuati negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. A fronte di un simile scenario, a essere a rischio sarebbe dunque l’intero organismo e non solo la tiroide.
L’esplosione di una centrale nucleare è quindi completamente diversa dall’esplosione di una bomba atomica. A seguito dell’esplosione di Chernobyl si liberò una grandissima quantità di radioattività pari a circa 14.000 PetaBequerel (PBq) (una dose pari all’equivalente di circa 7.500 miliardi di scintigrafie tiroidee) e la maggior parte di questa era costituita da 11-Iodio, che ha una emivita di 8 giorni ma che può accumularsi nella tiroide e causare tumori così come si è poi osservato con elevata frequenza nelle popolazioni, soprattutto nei giovani, che abitavano le regioni circostanti la centrale nucleare di Chernobyl. Ma oltre allo iodio radioattivo l'esplosione liberò altri isotopi come il 90-Stronzio e il 137-Cesio, provvisti tra l'altro di una più lunga emivita fino a circa 30 anni, verso i quali la compressa di iodio non serve a nulla. In definitiva, gli effetti biologici della fuoriuscita di materiale radioattivo dipendono dalla quota e dal tipo di materiale radioattivo disperso, dalla distanza a cui un individuo si trova rispetto alla sorgente e dall’andamento della nube tossica che potrebbe colpire alcuni territori più di altri determinando, quindi, conseguenze sulla popolazione altamente variabili.

Benedetta de Mattei





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