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"Sparatoria di Dogana", chieste spiegazioni alla Vicini

12 set 2008
Polizia Civile
Polizia Civile
Due colpi in sequenza, mirando alle gomme dell’automobile guidata da un 40enne di Trento con problemi mentali, che tentava di fuggire in retromarcia. Un’episodio che ha lasciato perplessa parte dell’opinione pubblica: secondo alcuni la reazione dell’agente sarebbe stata esagerata e potenzialmente molto pericolosa. Proprio per questo il segretario agli Interni ha deciso di vederci chiaro e chiedere una relazione al comandante Albina Vicini.
La vicenda era stata ricostruita, pochi giorni dopo il fatto, in una simulazione effettuata in collaborazione con un esperto balistico di Reggio Emilia. L’impressione è che sia ormai abbastanza chiara la dinamica dell’episodio; la domanda fondamentale tuttavia resta la stessa: la situazione di pericolo era così grave da giustificare l’uso dell’arma in quel modo? Non sarebbe stato sufficiente bloccare il traffico in entrambe le direzioni? O limitarsi a sparare in aria? O anche lasciare che l’uomo fuggisse visto che, fino all’arrivo delle Forze dell’Ordine, non aveva compiuto reati, si era solo comportato in modo strano all’interno di un Centro Commerciale.
Fortunatamente non è successo nulla di grave, ma non sempre è così e fatti come quello che ha portato la morte di Gabriele Sandri, in Italia, sono lì a ricordarcelo. Insomma, in quali casi l’agente – di Polizia Civile o Gendarmeria – può usare l’arma di servizio? Regole precise, “regole d’ingaggio” potremmo dire, non ce ne sono.
Si fa riferimento a 2 articoli del codice penale sammarinese: il 41, legittima difesa, e il 42, stato di necessità. Norme che lasciano spazio alla discrezionalità, ma dove è sempre ribadito che l’azione dev’essere proporzionata alla minaccia. Lo stato di necessità prevede inoltre che ci si trovi in una situazione di pericolo attuale di un danno grave alla persona. Una persona in fuga integra queste ipotesi?

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