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Unione bancaria: Ue ancora divisa

11 dic 2013
Unione bancaria: Ue ancora divisa
Unione bancaria: Ue ancora divisa
Vicini ad un accordo, ma non ancora alla fine: con tutta probabilità servirà un altro Ecofin per vederci chiaro sull'Unione bancaria, perché quello di oggi non basta ad avvicinare le differenze tra chi, come la Germania, non vuole rischiare di pagare salvataggi di banche altrui e chi, come Italia e Francia, vuole un percorso chiaro che coinvolga anche paracadute nazionali in caso le banche mettano a rischio la stabilità finanziaria. I leader europei, sotto la spinta di Bce ed Fmi, si sono impegnati nell'ultimo vertice a raggiungere un'intesa sul 'fallimento controllato delle banche' o 'risoluzione unica' entro l'anno. Ma si tratta di un accordo politico, raggiungibile anche senza mettere nero su bianco i dettagli di quella che sarà una delle architetture più complesse della Ue, che cambierà per sempre le dinamiche tra gli Stati e le loro banche. Per dirla con il commissario al mercato interno Michel Barnier, finisce cioè l'era dei contribuenti che pagano per gli errori dei banchieri. Lo scopo dell'Unione bancaria, lo spiega il ministro Saccomanni: "Si voleva evitare il legame vizioso tra i dubbi sulla solidità dei governi e la solidità delle banche, e poi evitare la frammentazione del mercato finanziario europeo che purtroppo si vede nei diversi tassi di interesse pagati dai Paesi", affinché "un'impresa competitiva dell'Italia del Nord paghi lo stesso tasso d'interesse dell'impresa competitiva della Baviera". Ma il negoziato per arrivare ad una risoluzione unica che funzioni e che piaccia a tutti, è ancora aperto. Le due decisioni principali da prendere sono chi sarà l'autorità incaricata di far scattare il fallimento delle banche, e chi pagherà il conto della loro chiusura. Sul primo punto, la Germania ha ceduto all'idea che sarà la Commissione a 'premere il grilletto'. Era contraria, avrebbe preferito un pool di autorità nazionali, ma Parigi e la Bce si sono opposte. Quindi cerca ora di mantere solo un 'controllo' nazionale sulla Commissione. L'altro punto aperto è chi ci rimette quando l'autorità decide che una banca va 'risolta': la gerarchia del 'bail-in', o salvataggio interno, stabilita nella direttiva per la risoluzione (BRRD) ferma in Parlamento Ue, prevede che paghino prima gli azionisti, poi i detentori di debito junior (strumenti ibridi), poi i detentori senior 'unsecured', poi i prestiti delle pmi e infine i depositi sopra 100mila euro. Poi deve intervenire un fondo unico di risoluzione, che gli Stati dovranno creare, ma che per andare a regime impiegherà 10-15 anni. Nel frattempo, secondo alcuni Paesi tra cui Francia e Italia, in caso di necessità deve intervenire il fondo di assicurazione dei depositi o il fondo salva-Stati Esm, ma la Germania continua a resistere all'idea di 'paracadute nazionali' o comuni.

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