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Vaia, Spallanzani: “Ecco cosa succederà nei prossimi mesi. Il ruolo dei monoclonali nella lotta al Covid-19”

30 ott 2021
Francesco Vaia (foto archivio)
Francesco Vaia (foto archivio)

Sono stati finora 12.016, in Italia, i pazienti Covid trattati con gli anticorpi monoclonali, farmaci destinati a soggetti a rischio di progressione al Covid-19 severo ma con recente insorgenza della malattia. Nell'ultima settimana, in particolare, sono state 554 le richieste di prescrizione, pari al +19% rispetto alle 465 della settimana precedente. Lo evidenzia il 29/mo report dell'Agenzia Italiana del farmaco (Aifa) relativo al periodo dal 15 al 21 ottobre.
Dall'inizio del monitoraggio, è il Veneto la regione ad aver trattato più pazienti con queste terapie, ovvero 2.022, seguito dal Lazio con 1.656 e Toscana con 1.612. Tutte le altre regioni sono sotto quota 1.000 e agli ultimi posti restano Molise e Provincia autonoma di Bolzano, fermi a 16 e 3. Gli anticorpi monoclonali non hanno ancora ricevuto l'approvazione dell'Agenzia europea per i medicinali (EMA) ma in Italia sono stati autorizzati in via temporanea con Decreto del Ministro della salute a febbraio 2021 e sono disponibili a partire da marzo.
Benedetta de Mattei ha intervistato il Prof. Francesco Vaia – Direttore Sanitario dello Spalllanzani di Roma - per capire sono i monoclonali, come funzionano e a che punto siamo nella lotta al Covi-19.

Cosa sono gli anticorpi monoclonali?
Gli anticorpi monoclonali sono proteine prodotte in laboratorio, che simulano quelle prodotte naturalmente dal nostro organismo come risposta alla vaccinazione o all’infezione. Sono i “soldati” che legano la proteina Spike, presente sulla superficie del virus, bloccandone l’ingresso nelle nostre cellule e impedendone la replicazione.





Come funzionano i monoclonali di seconda generazione?

La peculiarità di questi nuovi anticorpi sta nel fatto che si tratta di anticorpi ingegnerizzati: dopo aver selezionato gli anticorpi neutralizzanti più potenti, prodotti da persone che si sono ammalate e sono guarite, gli stessi vengono clonati in vitro dopo aver apportato alcune modifiche che ne garantiscono maggiore efficacia e sicurezza.
Questi anticorpi infatti, oltre ad essere più stabili nell’organismo rispetto ai normali anticorpi e ad avere quindi un effetto neutralizzante di maggiore durata, non interagiscono con il nostro sistema immunitario: si riducono così i possibili effetti collaterali degli anticorpi classici.

Allo Spallanzani li state sperimentando, quali sono stati ad oggi i risultati? Quante altre strutture in Italia li somministrano?
I risultati sono estremamente promettenti e contiamo di arrivare presto all’autorizzazione delle agenzie regolatorie. È necessario seguire un percorso di rigorosa validazione e senza questo passaggio fondamentale non possiamo naturalmente arrivare all’utilizzo clinico su larga scala.
Fino ad ora, la capacità neutralizzante dei nuovi anticorpi, ovvero la capacità di legare il virus impedendone l’ingresso nelle cellule, si è dimostrata persino più alta di quella presente in chi aveva contratto la malattia o in chi aveva ricevuto il vaccino.

Che ruolo potrebbero avere in questa pandemia, potrebbero sostituire in futuro il vaccino?
Vaccini e anticorpi monoclonali sono un mix vincente, ma il vaccino rimane indispensabile per garantire un’immunità duratura. Esistono tuttavia persone che non possono essere vaccinate o che non rispondono al vaccino (i cosiddetti “non-responders”) e per i quali potrebbe essere molto utile ricevere anticorpi direttamente formati.
Allo Spallanzani stiamo lavorando proprio in questo senso, per l’eventuale somministrazione degli anticorpi in via profilattica, in quanto, fino ad ora, gli anticorpi monoclonali sono stati utilizzati solo per la terapia, con l’intento di arrestare la progressione della malattia in pazienti già contagiati.
Gli anticorpi neutralizzanti di seconda generazione hanno un ulteriore vantaggio: possono essere somministrati intramuscolo, direttamente a casa del paziente ed eventualmente anche da parte del personale infermieristico e saranno dunque un’arma importante nella prevenzione del Covid-19, soprattutto per i più fragili.





Lo Spallanzani è da sempre impegnato in prima linea nella lotta contro il Covid-19, quale è attualmente a Suo avviso la situazione e come prevede i prossimi mesi?
Siamo ad un punto di svolta importante: i numeri, che non mentono mai, delineano il quadro di una pandemia che è ormai prossima alla fine. Anche nel nostro Istituto i ricoveri sono scesi notevolmente e rapportando la situazione a quella di un anno fa, appare evidente che la strategia della vaccinazione ha funzionato, nonostante qualche voce minoritaria si ostinasse a dire il contrario, nonostante il pessimismo messo in scena dagli speculatori del virus.
Ai vaccini inoltre potremo affiancare nuove armi, non sostitutive, ma complementari, come i nuovi anticorpi monoclonali, che ci aiuteranno ad uscire definitivamente da questa situazione. Siamo in grado di prevenire il contagio ed intervenire, con strumenti sempre più capaci di arrestare il decorso della malattia, nei casi in cui fosse richiesta maggiore complessità di cura: questo ci permetterà di guardare al Covid- 19 come ad una malattia tra le altre. Adesso la strada giusta è quella della gradualità e del buon senso, evitando riaperture precipitose, come anche strategie vaccinali la cui utilità non è supportata da evidenze scientifiche.
A questa risposta, fornita dalla Scienza, deve seguire però anche una risposta di sistema, che ci consenta di uscire davvero migliori, come società, dalla pandemia. Non penso solo ai temi italiani, ma a quelli internazionali, come l’equità vaccinale, che come ho detto tante volte non è solo un tema etico. Per evitare lo sviluppo e la diffusione di nuove varianti infatti, non basta nascondersi dietro le alte percentuali di vaccinati nei paesi dell’Occidente: la sfida è piuttosto quella di guardare oltre, ai paesi in via di sviluppo e in particolare al continente africano, che con il suo esiguo 4% di vaccinati potrebbe essere incubatore di nuovi focolai e varianti.
Sono fiducioso che i governi comprendano l’importanza di una moral suasion nei confronti delle case farmaceutiche, perché non si giochi al rialzo dei prezzi, ma si favorisca l’accessibilità al vaccino. È un problema che ci riguarda tutti.


Benedetta de Mattei





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