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13° Congresso CGTP (Portogallo), il Vice Segretario CSdL Piermattei è intervenuto alla Conferenza Sindacale Internazionale

26 feb 2016
Gilberto Piermattei
Gilberto Piermattei
Il Vice Segretario CSdL Gilberto Piermattei nella giornata di ieri è intervenuto - nell'ambito dei lavori del 13° Congresso della CGTP (la maggiore organizzazione sindacale portoghese), a cui sta partecipando in rappresentanza della CSdL - alla Conferenza Sindacale Internazionale organizzata per l'occasione, con importanti rappresentati del sindacalismo europeo. Tema della conferenza: Lavoro con Diritti - Contro lo Sfruttamento - Per la pace e la solidarietà. Riportiamo di seguito l'intervento di Gilberto Piermattei.

"Ringrazio sentitamente i compagni della CGTP per l'invito al XIII Congresso e la possibilità di intervenire a questa prestigiosa conferenza internazionale, che offre a tutti noi l'opportunità di esprimere la nostra disapprovazione e contrarietà per le politiche economiche fondate sull'austerità, che pongono in sofferenza le conquiste dei lavoratori ed impoveriscono interi popoli, e per poter discutere sui possibili cambiamenti che le forze sindacali possono imprimere per invertire queste tendenze. Il lavoro tutelato e dignitoso, la cultura della legalità che deve condurre alla giustizia sociale, sono tematiche che peraltro sono state al centro del progetto e delle conclusioni scaturite dal recente Congresso della CES. Il compito del movimento sindacale europeo è quello di modificare profondamente la tendenza che vige da troppo tempo in Europa e in generale nel mondo occidentale; cioè quella di sacrificare il lavoro dignitoso e i diritti, partendo dal presupposto che la competitività verso il basso tra gli stati si possa giocare attraverso l'abbattimento degli stessi diritti.

L'abbassamento dei diritti è una condizione posta dagli stati membri dell'Unione Europea, ed è inaccettabile; per tale ragione la CES e tutti i sindacati nazionali aderenti devono contrastare fortemente questa volontà di retrocedere nelle conquiste sindacali e nei diritti dei lavoratori dal punto di vista salariale, e soprattutto sul piano sociale. Un punto fermo delle politiche sindacali contro ogni forma di sfruttamento, è quello di affermare e consolidare in tutto il continente la contrattazione collettiva, come insostituibile elemento di coesione sociale. L'Europa, così come si presenta oggi, non favorisce lo sviluppo uniforme delle condizioni dei lavoratori, i quali sono stati gli unici a pagare le condizioni volute dai poteri forti e dalle multinazionali; poteri che hanno ricattato per troppo tempo i lavoratori e i pensionati, imponendo agli stati politiche di austerità, senza investimenti pubblici, condizionando così la vita di milioni di europei, introducendo un sistema iniquo che sta conducendo gli stati e le famiglie verso una inaccettabile deriva di povertà.

Deregolamentazione del mercato del lavoro, mancanza di occupazione e precarietà, disuguaglianza retributiva finiscono per essere i presupposti dell’assenza di un lavoro dignitoso, perché rendono gli uomini e le donne socialmente vulnerabili. Il lavoro, soprattutto per i nuovi assunti, è sempre meno tutelato; molti governi europei hanno creato un sistema normativo che rende più facile anche il licenziamento dei lavoratori. Tutto ciò, come accadeva nelle più becere dittature, anche attraverso metodi intimidatori, come la condanna dei lavoratori che per potersi garantire diritti sindacali e sociali si organizzano per esercitare il diritto allo sciopero, così come accaduto, ad esempio, ai sindacalisti spagnoli condannati perché hanno scioperato per difendere i lavoratori. Gli investimenti pubblici devono rappresentare, assieme agli investimenti privati, un elemento portante per il rilancio dello sviluppo sostenibile europeo. Altrettanto fondamentale è assicurare percorsi di formazione continua per i lavoratori, durante tutto l'arco della vita professionale, azionando meccanismi virtuosi di recupero della professionalità attraverso la conoscenza e la tecnologia.

In tal senso, compito essenziale del sindacato è quello di riportare al centro delle agende politiche degli stati la questione del lavoro dignitoso e retribuito adeguatamente, sottraendo dalla povertà tutti coloro che sono caduti nella trappola innescata dai poteri forti, i quali hanno imposto agli stessi stati la negazione del negoziato e della concertazione. Occorre ribadire con forza che i lavoratori hanno il diritto di contare, attraverso le loro organizzazioni, nelle scelte per decidere il proprio futuro e quello dei loro figli. È insopportabile il destino dei giovani costretti a una emigrazione non per scelta ma per costrizione, per poter costruirsi una vita dignitosa attraverso un lavoro che possa corrispondere agli studi e alle specializzazioni conseguite negli anni. Al contempo non è tollerabile che le politiche europee stiano progressivamente riportando il lavoro femminile a modelli organizzativi anacronistici, offrendo alle donne solo orari parziali, minori diritti e lavori che poco hanno a che fare con la dignità.

In sostanza stiamo assistendo ad una volontà di riportare le lancette dell'orologio fatalmente all'indietro, a condizioni conosciute in assenza di democrazia, regredendo in tutte le conquiste sociali e di parità. Una tendenza da invertire immediatamente, per evitare che le forze sindacali siano confinate ad un ruolo di secondo piano, non confederale e corporativo. E vengo ora al grande tema della pace e della solidarietà. Le grandi potenze stando dando vita a guerre, nelle quali a farne le spese è sempre la povera gente, sostanzialmente per una nuova spartizione delle aree di influenza nel mondo e per l'approvvigionamento del petrolio, delle fonti energetiche e delle materie prime. Tutto ciò mascherato dalla motivazione della lotta al terrorismo internazionale, che è solo una ragione di facciata. L'unico strumento per sconfiggere il terrorismo, è l'azione concertata a livello politico e diplomatico degli stati e della comunità internazionale, che devono contribuire allo sviluppo democratico, sociale ed economico dei popoli, superando quelle condizioni di miseria, ignoranza e disperazione che hanno favorito la diffusione del fondamentalismo. Queste guerre generano il dramma dei migranti che fuggono dai loro paesi mettendosi nelle mani di coloro che speculano odiosamente sulla loro disperazione.

Quello dell'Unione Europea è un approccio che si limita principalmente a contrastare e reprimere la migrazione, spesso criminalizzando le vittime dei trafficanti, senza considerare le cause degli spostamenti, senza intervenire politicamente sui paesi di origine e di transito, senza strutturare un sistema di asilo comune e condiviso all'interno dell'Unione, e in più generale senza preoccuparsi del rispetto dei diritti umani. Se nei paesi di provenienza non ci sono politiche di sviluppo, se non si interviene per fermare le guerre e le violenze di cui sono vittime interi popoli, non possiamo pensare di reprimere la volontà delle persone di tutelate la propria vita e quella dei propri figli abbandonando queste zone per cercare una nuova prospettiva di vita. È portando sviluppo e diritti nella società e nel lavoro, e mettendo fine ai conflitti anche attraverso un più stringente ruolo politico, diplomatico e anche umanitario dell'ONU e della comunità internazionale, che sembrano sostanzialmente latitanti di fronte a numerosi scenari di guerra - che si creano le condizioni affinché migliaia e migliaia di persone non abbiano più la necessità di migrare. Nel frattempo l'Unione Europea deve coordinare politiche di soccorso e di accoglienza per i profughi che fuggono dalla guerra e dalla miseria, politiche che chiamino tutti i paesi europei a dare il proprio contributo in termini di solidarietà.

Ufficio Stampa

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