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BREXIT: per il Comites serve un’Europa che non alzi muri

27 giu 2016
BREXIT: per il Comites serve un’Europa che non alzi muri
Giovedì scorso la Gran Bretagna ha scelto di lasciare l’Europa con il 51,9 per cento dei consensi alla brexit, contro il 48,1 per cento di coloro che si erano espressi per il remain. “I Britannici non ne potevano più di sottostare ai diktat dei burocrati dell’Unione Europea che dettano regole che troppo spesso vanno contro gli interessi nazionali degli stati membri, arrogandosi il diritto di decidere anche quante acciughe devono stare in un vasetto o qual è la misura minima di un pomodoro”, dichiara il vicepresidente del Comites San Marino Alessandro Amadei (foto).
“Dopo lo schock del voto britannico - prosegue Amadei - l’Europa sembra sempre più sgretolarsi sotto i colpi inferti dai nazionalisti e dai populisti dell’euroscetticismo che rimproverano all’Unione Europea di avere adottato finora misure economiche, come il fiscal compact ed il bail-in, ritenute troppo recessive ed austere per i cittadini degli stati membri, in quanto tendenti a frenare lo sviluppo economico. Ma l’addebito più significativo che viene contestato all’Unione Europea è quello di avere gestito con superficialità l’emergenza umanitaria dei migranti, producendo solamente risultati fallimentari che attualmente sono sotto gli occhi di tutti.
Come già da molti osservato, l’esito referendario di giovedì scorso potrebbe provocare un effetto domino inarrestabile, tant’è che potrebbe bastare che qualche altro paese con un’opinione pubblica fortemente euroscettica chieda di indire una consultazione popolare sulla falsariga di quella britannica per far saltare gli equilibri europei che non sono più solidi come vent’anni fa. L’ipotesi non è inverosimile, e le reazioni di giubilo al risultato del voto britannico arrivate dai leader populisti del continente sono un chiaro presagio.
Pur comprendendo il motivo dei malumori della maggioranza dei britannici, il Comites San Marino non condivide la loro scelta di lasciare l’Unione Europea, in quanto senza integrazione europea non ci può essere quella pacifica convivenza tra i popoli e quella crescita economica, culturale e sociale che i padri fondatori dell’Europa, tra cui ricordiamo Adenauer, Schumann e De Gasperi, auspicavano. L’Europa deve cogliere il segnale di disagio proveniente da oltremanica per farne tesoro, così da rivedere la propria impostazione, sia dal punto di vista economico che culturale, perché non si può creare un’Unione Europea a due velocità, come è stato fatto finora, quella a trazione franco-tedesca che va ai 100 km all’ora e quella dei paesi di serie B che procede con il freno a mano tirato. Occorre che tutti i paesi membri abbiano le stesse opportunità di sviluppo e che si rispettino le identità culturali dei loro popoli.
Troppo facile dire che ci vorrà uno scatto d’orgoglio ed un cambio di passo che non si esaurisca in qualche aggiustamento di facciata dei leader europei che non hanno capito quanto fosse profonda la crisi in corso e che invece di trovare qualche compromesso prima che i buoi anglosassoni scappassero definitivamente dalla stalla, si sono rinserrati nella loro torre d’avorio, non ascoltando le grida di allarme che si levavano verso di loro, alla faccia di quello che viene chiamato spirito di amicizia europea nel nome della comunità. La crisi in atto è lo specchio della sfiducia nelle istituzioni e nella democrazia rappresentativa che sta logorando l’intera Europa, a partire dai singoli stati nazionali, compreso San Marino. È arrivato il momento, quindi, di ricucire un tessuto sociale che negli ultimi tempi è stato violentemente strappato, ricominciando a parlare di povertà, di precarietà lavorativa, di esclusione sociale, di inadeguatezza rispetto ad un sistema dominato dalla competitività e del rapporto tra cittadini ed i loro rappresentanti. L’unico modo per salvare il progetto europeo è quello di restituire credibilità alle istituzioni della democrazia liberale dei singoli paesi e solo così l’Europa potrà essere immunizzata dai batteri patogeni dei populismi e della xenofobia”.
Alessandro Amadei

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