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C10, bandi di selezione: "Perché non si è scelta la via del concorso pubblico?"

27 ago 2015
C10, bandi di selezione: "Perché non si è scelta la via del concorso pubblico?"
C10, bandi di selezione: "Perché non si è scelta la via del concorso pubblico?"
Nei giorni scorsi abbiamo potuto valutare le precisazioni fatte sulla stampa da parte del Governo relativamente ai “bandi di selezione” di prossima emissione. Una ventina di assunzioni che saranno poste in essere attraverso una selezione per “titoli e colloquio” anziché, come sarebbe naturale, tramite concorso pubblico.
Per quanto la Segreteria si sia affannata a dire che questa forma di selezione è ammessa dalla legge (cosa più che ovvia) e che sarebbe migliore del ricorso alle pubbliche graduatorie, non ha spiegato il punto fondamentale: perché non si è scelta la via del concorso pubblico, trattandosi di alti livelli impiegatizi?
A ormai quattro anni dall’approvazione della riforma della PA il Fabbisogno rimane ancora un oggetto misterioso, che viene continuamente rinviato di sei mesi in sei mesi nonostante ogni tanto, come in questi giorni, faccia capolino sui media, salvo poi reimmergersi immediatamente in un mare di nebbia. Che sia questa la volta buona? Speriamo.
Si, perché in assenza di fabbisogno è impossibile bandire concorsi per posti che non si sa se dovranno essere ricoperti. Vararlo doveva essere uno dei primi atti post-riforma, che questo Governo ha rinviato preferendo agire con assunzioni decise tramite delibere discrezionali, più adattabili alle esigenze del momento (quindi, ce lo perdonerete, anche elettoralmente più convenienti).
Il fabbisogno non è però l’unico “oggetto misterioso” di quel round di riforme: a sei anni di distanza dall’approvazione della legge sui concorsi e altre forme di selezione non è stato ancora creato neppure l’Albo dei Commissari, altro passo fondamentale per far diventare i concorsi una prassi.
Posticipare la creazione di questo Albo consente infatti di procedere con Commissioni composte ad hoc, quasi sempre da persone di nomina politica (i Direttori di Dipartimento, ad esempio, nominati direttamente dal Governo), sulla cui imparzialità può evidentemente sorgere più di un dubbio permanendo, peraltro, la possibilità di tirare “la coperta” dei punteggi da una parte o dall’altra a seconda della convenienza.
Queste mancanze sono state utilissime, in questa legislatura, per compiere una buona operazione di marketing politico: mandare in pensionamento forzato centinaia di persone, mettendone il costo a carico dei fondi pensione, per raggiungere un fittizio pareggio di bilancio, permette infatti di dire che si stanno assumendo laureati di cui la PA necessita. Peccato che i laureati in PA, necessari, ci mancherebbe, andrebbero assunti nell’ambito di una programmazione, appunto il fabbisogno, non secondo logiche spot dall’odore, ce lo perdonerete di nuovo, pre-elettorale.
Quale che sia di queste la ragione che ha guidato la mancata mano del legislatore, si rileva l’ennesimo modo di operare che non va. Le leggi di riforma della PA, fatte fra il 2009 e il 2011, contenevano anche una serie di principi positivi che non sono stati messi in pratica dal Governo attuale.
E in questa perenne logica di rinvio continuano pratiche che andrebbero messe in soffitta, come quella dei contratti di consulenza, a volte anche per decine di migliaia di Euro, emessi in favore di amici di partito (o figli di), con mansioni quasi sempre non ben precisate.
Insomma, il nuovo metodo di Governo di cui tanto si parla resta ad oggi ancora un’utopia.

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