Conflitto in Armenia: fermare l’aggressione, si torni alla diplomazia

Conflitto in Armenia: fermare l’aggressione, si torni alla diplomazia.

Dopo il conflitto del 2020, scaturito dalla guerra dei 44 giorni, e la “relativa” quiete successiva, il 13 settembre, l’Armenia si è ritrovata coinvolta in un’aggressione militare su larga scala lungo il confine con l’Azerbaijan. Le vittime e i feriti nelle città di Goris, Jermuk, Vardenis, Kapan e Sotk sono purtroppo in aumento. Questa aggressione, all’apparenza immotivata e non provocata, dell’esercito azero contro l’Armenia innesca inevitabilmente preoccupazioni per la stabilità del Caucaso del Sud, un’area di estremo interesse anche per le politiche dell’Unione Europea inerenti alla sicurezza energetica. Ma questo conflitto che attanaglia la regione del Nagorno-Karabakh dagli anni ’90 e che ora vede interessata la sovranità territoriale della Repubblica di Armenia, nonostante i tanto promessi accordi di pace che sembrano essere quantomai lontani, rischia di trascinare la popolazione armena in una crisi umanitaria dai connotati catastrofici. Inoltre si paventerebbe il sostegno militare dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (come già visto nel gennaio 2022 nel Kazakistan), per tutelare uno stato come quello armeno che, in quanto membro di questo organismo può richiedere misure concrete per tutelare la propria sovranità territoriale, comportando il rischio di un’estensione del conflitto. Va sottolineato come la presunta pace vissuta negli ultimi mesi era stata messa in dubbio dalle recenti preoccupazioni per il continuo deterioramento dei rapporti, già gravemente compromessi, tra i due paesi, sfociati tra l’altro in dichiarazione decisamente avventate da diversi funzionari in ruoli apicali dell’Azerbaijan. In questo scenario va inquadrato il pericoloso silenzio dell’Unione Europea che, a differenza di quanto sta facendo nel conflitto Russo-Ucraino non ha ancora saputo condannare compiutamente la Repubblica dell’Azerbaigian per l’aggressione all’Armenia. Inevitabilmente il sospetto va all’accordo del Luglio del 2022 che prevedeva un aumento delle forniture del gas in Europa e alla promessa del Presidente azero Aliyev di raddoppiare la produzione e l’esportazione di gas per la comunità europea. Va da sé, che una politica dei due pesi e due misure, per una comunità che si vuole definire portatrice di valori di democrazia, non può essere tollerabile. L’Unione Europea, che ha deciso di reagire con le sanzioni all’aggressione militare della Russia all’Ucraina, dovrebbe adottare lo stesso provvedimento e non invece la politica dei “doppi standard” visto che l’Azerbaijan è un partner commerciale ed energetico di primaria importanza. Bruxelles dovrebbe avere il dovere di difendere la vita dei cittadini armeni e la sovranità territoriale dell’Armenia per evitare lo scoppio di un conflitto e l’affermazione della “diplomazia della guerra”. Siamo di fronte all’ennesima violazione da parte dell’Azerbaijan della dichiarazione delle Nazione Unite, dell’Atto finale di Helsinki e della dichiarazione trilaterale del 9 Novembre 2020. L’appello di Libera è quello di fermare questa pericolosissima aggressione e ritornare sulla strada della diplomazia, questo per tutelare le tante vite umane dei cittadini armeni, ma anche per evitare una folle escalation militare dalle conseguenze catastrofiche per la zona caucasica e per l’Unione europea.

Cs - Libera

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