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Congresso PSD: la relazione Gian Carlo Capicchioni

21 lug 2017
Gian Carlo Capicchioni
Gian Carlo Capicchioni
Il progetto politico proposto dal PSD dall’ultimo Congresso, a pochi mesi dall’avvio del governo di San Marino Bene Comune, ha confermato la visione del “cambio di passo”: un cambiamento profondo del paese attraverso un processo di riforme legislative, di prassi, in particolare nelle relazioni esterne e nella trasparenza del funzionamento dell’economia che si è sempre inteso assieme al paese, concertato, e non contro qualcuno, o individuando nemici, come ora capita con la presente compagine di maggioranza.
Tanto è vero che l’investimento più importante del PSD dal punto di vista politico ha avuto un lungo periodo di “incubazione” pubblica, culminato con lo storico referendum sull’adesione all’Unione Europea dell’ottobre 2013, primo appuntamento dopo l’ultimo Congresso. A favore si espressero tutte le forze riformiste e l’esito, nonostante ci si trovasse già nel periodo di percezione negativa dell’Europa, fu di vittoria, seppur esigua, del sì. Un risultato quasi eroico considerando le formazioni politiche che non si dichiararono favorevoli o che non si impegnarono come Alleanza Popolare, Democrazia Cristiana e Noi Sammarinesi, pure al governo con il PSD e RETE dall’opposizione. Al tempo la legge referendaria prevedeva un quorum, non raggiunto, quindi non si richiese formalmente l’adesione, ma il percorso per una maggior integrazione, poi giunto all’ipotesi dell’Accordo di Associazione, era ormai, anche grazie alla campagna referendaria, conquista raggiunta.
Per il PSD, la cornice dell’Unione Europea, era quella ideale nel momento in cui politica, economia, più in generale la società stessa sammarinese avevano bisogno di direttive al contempo compatibili con il contesto esterno e utili ad un avanzamento in tanti settori dello stato.
Con questo obiettivo in mente, le Segreterie di Stato a guida PSD hanno portato avanti molti progetti divenuti provvedimenti e leggi, ora in vigore. Per ragioni di tempo ci soffermeremo sulle principali iniziative su cui il PSD aveva deleghe di governo: Finanze e Bilancio, Lavoro e Cooperazione, Istruzione ed Università.
Procedendo in maniera cronologica, la prima grande riforma promossa dal PSD al governo è stata quella fiscale che ha di fatto proposto un nuovo patto sociale basato sull’equità: raccolta in corsa l’eredità dalla legislatura precedente, si è ripensato e riorganizzato il sistema delle imposte dirette. Senza entrare nel dettaglio, sono scelte della legge 166 del dicembre 2013 la fine del regime forfetario, la reintroduzione del reato di evasione fiscale, l’introduzione della contrapposizione degli interessi, finalizzato alla emersione dei redditi attraverso la SMaC, un impianto necessario non solo per affermare un principio di equità fiscale interna ma anche utile per riuscire a cambiare uno status che dal 2010 al 2013 assomigliava ad una quarantena: l’inserimento nella black list del Ministero Finanze ed Economia italiano che tanto stava danneggiando l’economia e l’immagine della Repubblica.
A febbraio 2014 la sua approvazione infatti arrivò finalmente l’uscita da quell’infausto regime e pochi mesi dopo la tanto agognata Convenzione per evitare le doppie imposizioni con l’Italia, l’inserimento nella white list fiscale e nella white list antiriciclaggio. Il PSD da 3 anni prima aveva lanciato un progetto politico focalizzato sul riposizionamento internazionale di San Marino, a partire dall’adesione allo scambio automatico di informazioni finanziare, di radicale cambiamento.
Tutti passi fortemente voluti dal PSD, ma assolutamente elaborati cercando di tenere tutto il paese insieme e riconoscendo gli sforzi fatti, non solo dal governo e dalla maggioranza, ma anche dall’opposizione e soprattutto dal tessuto civile. Una modalità di lavoro che partiva dalla consapevolezza che si stava attraversando un periodo di grandissima difficoltà economica e finanziaria, con il rischio che il forte sistema di tutele sociali sammarinese non fosse più compatibile con la situazione esistente.
Si dovevano raggiungere difficili risultati di contro tendenza, come l’incremento delle entrate dello stato per non incorrere nel debito pubblico e conseguire il pareggio di bilancio liberando contemporaneamente risorse per lo sviluppo economico: i provvedimenti straordinari contestuali alla riforma fiscale e alla legge sviluppo, sebbene molto timida nell’apertura e nella semplificazione burocratica, anche a causa delle eccessive chiusure degli alleati di allora, furono positivi e si ottenne un sostanziale pareggio di bilancio senza colpire lo stato sociale o compromettere il futuro dei cittadini.
La stessa logica di avanzamento progressivo, di apertura e di condivisione è stata adottata con la riforma universitaria. La scrittura della legge, l’individuazione del nuovo Rettore, la creazione di organi di gestione organizzativa ed economica più efficace, ha portato un miglioramento evidente, riconosciuto anche durante lo svolgimento dell’ultima Commissione Consiliare in ordine al sistema di reclutamento e sui criteri rispetto a contratti e consulenze più trasparenti, alla crescita delle borse di studio, soprattutto al raddoppio delle immatricolazioni passate da 300 a 600 in soli due anni, grazie al lavoro del Rettore e del Consiglio dell’Università. Anche qui il merito strategico è del PSD ma quello attuativo è appunto di molte persone, alcune delle quali è giusto ricordare non essere più nel partito. Nel 2014 le critiche fioccavano e pareva essere impossibile riuscire a cambiare “da dentro” l’Università, ma questo è avvenuto, a riprova della capacità sia di elaborazione, sia di concretezza, del PSD.
Un altro aspetto che pareva non si potesse in assoluto modificare era quello della legge sulla rappresentatività. Anche in questo caso un certosino lavoro di analisi, non affrettato e ponderato, ha consentito di sviscerare tutti gli aspetti legati al mondo sindacale e datoriale, facendo ordine nella giungla che caratterizzava un settore in cui molte regole si erano sommate incoerentemente nel corso degli anni, ed altre che non si riuscivano neppure a proporre. La legge del maggio 2016 ha fatto suoi principi tuttora validi come quello dell’erga omnes, intesi come protezione dei lavoratori attraverso un impianto coerente e senza discriminazioni, più quelli della rappresentanza proporzionale al valore effettivo delle organizzazioni di categoria, ovvero dei lavoratori e dei datori aderenti alle corrispondenti associazioni.
Principi che per la loro bontà e razionalità hanno consentito alla legge di ottenere un avallo importante da parte dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro; l’attuale maggioranza ha dichiarato da subito di voler demolire la struttura fondamentale, anche se ormai a 8 mesi di governo nessuna indicazione è stata data, a riprova che con ogni probabilità l’intenso lavoro di confronto con tutte le forze sociali e politiche, il lungo lavoro di limatura, la completezza del testo, rendono la legge molto più sensata e corretta di quanto contestato in campagna elettorale.
L’ultimo impegno portato avanti dalla Segreteria Finanze PSD prima della fine della legislatura rappresenta il coronamento di un modo di condurre e di una visione strategica. L’organizzazione della tavola rotonda “La fiscalità internazionale nel contesto delle relazioni economiche globali. San Marino-Italia. Evoluzione delle relazioni economiche bilaterali” ha suggellato pubblicamente la fine di un periodo durato quasi un decennio in cui i rapporti con l’Italia erano citati quasi sempre in chiave negativa e con San Marino quale accusato. Il lavoro fatto in oltre un lustro da quel governo e da quello precedente finalmente ha consentito di mettersi al tavolo, a San Marino, con i massimi responsabili del MEF e dell’Agenzia delle Entrate, ovvero le istituzioni italiane che maggiormente avevano chiuso le porte a San Marino ed al suo sistema economico.
Il 30 settembre 2016 rimarrà quindi data spartiacque tra un prima e un dopo, perché in quella data non si celebrò solo una pace ormai acquisita, ma soprattutto l’identificazione di percorsi possibili di sviluppo, di crescita reciproca e mutuamente vantaggiosa tra San Marino e Italia, finalmente ha voluto dire mettersi assieme al tavolo per parlare del futuro e di scenari nuovi di collaborazione.
Coerente con questi passaggi è stato il grande, e possiamo dire purtroppo solitario nella maggioranza, impegno per la riforma anche delle imposte indirette. Anche in questo caso una lunga e ragionata gestazione aveva portato alla scrittura di un provvedimento sull’Imposta Generale sui Consumi (IGC), atteso con ansia dal mondo economico sammarinese in quanto passaggio strategico per lo sviluppo delle imprese, che avrebbe chiuso il cerchio dell’intero nuovo sistema di tassazione sammarinese rendendolo totalmente compatibile con l’esterno e in particolare con il cammino di avvicinamento al mercato unico europeo, primo mercato di riferimento delle nostre imprese, il cui modello IVA è condizione imprescindibile per potervi accedere. Purtroppo gli ostacoli deliberatamente posti dai nostri alleati di allora Democrazia Cristiana a e Alleanza Popolare per tardare l’avvio dell’iter legislativo con il chiaro intento di non adottarlo in quella legislatura e la evidente debolezza del PSD nel non riuscire ad imporsi con gli alleati, da un lato e l’interruzione anticipata della legislatura, dall’altro hanno portato ad un pericoloso stallo. Infatti se da un lato vi è responsabilità di alcuni partiti della precedente maggioranza di cui uno presente anche nell’attuale, dall’altro si assiste, come nel caso del rapporto sopra descritto con l’Italia e con il MEF in particolare, alla scelta irresponsabile dell’attuale governo di non avere raccolto i frutti di un lavoro peraltro fatto in maniera strutturato ed una ampia partecipazione tecnica, oltre ad una serie di confronti a tutti i livelli, decidendo incomprensibilmente di cestinarlo, anziché da lì ripartire ed eventualmente adeguarlo. Segno questo tipo di atteggiamento di una mancanza di saggezza e di rispetto delle risorse già investite e di incomprensione delle esigenze del mondo dell’impresa.
Il PSD, nella sua azione di governo, si è pertanto impegnato in un’opera che ha il suo fondamento nella capacità di riformare, di mettere al tavolo tutti i portatori di interesse, di coniugare il locale con il globale. In definitiva ha dimostrato la capacità di delineare una visione e un percorso coerente di trasformazione della Repubblica, che senza strappi o cruente rivoluzioni, sapesse vincere la duplice prova del tempo: quella che riguarda l’immediato, il mettersi al passo coi tempi, e quella che riguarda la resilienza, ovvero la qualità delle riforme avanzate di essere resistenti agli urti ed alle crisi, in un periodo storico in cui la velocità dei cambiamenti spesso induce in errore rispetto all’inseguire le mode del momento, perdendo di vista le traiettorie principali.
Ora sembra essersi smarrita questa visione nell’attuale contesto politico generale e con l’attuale governo. Le forze politiche sono più impegnate a farsi la guerra o a criticare senza costruttività e il governo dimostra di sapere procedere quasi solo per colpi di mano, con una strategia che non viene dichiarata in anticipo e che viene solo giustificata a posteriori, senza mettere mai al tavolo forze politiche o sociali permettendo loro di partecipare al cambiamento che si vuole determinare. La logica utilizzata è quella del muro contro muro, del conflitto, sorda alle critiche e pregna di autoreferenzialità.
Ci si chiede quale sia la logica attuale dello sviluppo delle relazioni esterne del paese e di come queste si integrino con lo sviluppo economico.
La soluzione ragionata dal PSD era composita ma coerente: finita la fase di recupero dei rapporti con l’Italia, il passo seguente sarebbe stato quello di individuare velocemente ambiti di crescita concordata e reciproca. Nel frattempo il processo negoziale con l’Unione Europea doveva procedere speditamente e considerare l’ipotesi di richiedere una corsia più veloce per San Marino nel caso in cui i compagni di viaggio, Monaco e Andorra avessero obiettivi diversi e desiderassero tempi più lunghi. Il PSD ha sempre visto il negoziato come un negoziato politico per identificare gli strumenti e le strade per convincere la Commissione Europea a considerarci paese compatibile con il mercato europeo e scrivere la parola fine all’era della definizione extracomunitari per cittadini e imprese. Oggi invece ascoltiamo parole che hanno un sapore retrò, sentiamo evocare di modello Jersey per San Marino che rischia di attrarre nuovi dubbi sulla trasparenza ed affidabilità del paese. Un orientamento questo, che se confermato e perseguito, porterà a nuove crisi relazionali che il paese non può assolutamente permettersi.
Sul fronte interno il PSD ha lavorato su questi percorsi di riposizionamento e sviluppo convintamente unito, ma nonostante ciò, i rapporti interni si sono incrinati anche sotto il peso delle inchieste giudiziarie che hanno coinvolto la politica sammarinese, compreso il PSD. Ad onore del vero, il congresso del 2013 si era concluso con un messaggio di apertura e costruzione di dialogo tra le forze riformiste che doveva riprendere il suo cammino, nella considerazione che la partecipazione ad una maggioranza fatta di forze naturalmente antagoniste, era giustificata dalla fase storica del paese che richiedeva una particolare responsabilità. Tale indirizzo però è stato interpretato in maniera non univoca nel partito ed ha prodotto conflitti, che si basavano più sulla selezione delle persone che sulle politiche e su una certa fretta, dimostrata in primis dall’allora segretario del partito di liquidare il partito, per trasformarlo in altro. Nella seduta della Direzione del 23 agosto del 2016 si è di fatto consumata la scissione dopo mesi in cui la politica aveva ceduto il passo al tatticismo e l’azione di governo era di fatto bloccata. Il tema da mesi era quello delle elezioni anticipate e il focus erano le alleanze e proprio le alleanze fecero precipitare la situazione a seguito della sbrigativa liquidazione, da parte della DC in particolare, della proposta ragionata del PSD di una “larga coalizione” scenario che avrebbe permesso di continuare il percorso di ristrutturazione e rilancio del paese con una ampia condivisione e cooperazione, necessaria nei momenti strategici e di cambiamento di modello. Purtroppo il mancato accoglimento di questa proposta ha portato allo scenario di tre coalizioni in cui una, la nostra, era facilmente inquadrabile come “il vecchio” mentre le altre potevano, chi a ragione e chi grazie ad abili operazioni trasformiste, presentarsi come il nuovo. Il clima culturale e il periodo storico hanno, più che i contenuti e le proposte, determinato il risultato elettorale.
Dopo un anno alla luce del percorso che ne è seguito, se da una parte è doveroso ammettere la sconfitta elettorale e ripartire dalle ragioni della sconfitta per indirizzare il percorso futuro del PSD, dall’altra non si può non enfatizzare il fatto che anche chi ha fatto altre scelte, ottenendo il successo nella battaglia delle urne, oggi sta di fatto sconfessando il percorso che insieme, dentro a questo partito è stato pienamente condiviso.
Per questa ragione l’opposizione del PSD, ruolo cui è stato chiamato dall’esito delle elezioni, deve essere di coerenza con i propri principi e con il lavoro fatto, con le ragioni che lo hanno ispirato, riconoscendo doverosamente la correttezza di scelte in cui ci possiamo ritrovare ma criticando, anche aspramente, quando si vede che viene sprecato o demolito tutto un lavoro difficile e prezioso di ricollocazione della Repubblica di San Marino nella massima dignità nel panorama internazionale.
Abbiamo già affermato da mesi che le ragioni che ci vedevano parte della coalizione con cui ci siamo presentati alle elezioni, che erano quelle di proseguire coerentemente quel cambio di passo che ci ha ispirato, dal momento che non vi è la responsabilità di governo sono venute a meno. E certamente siamo consapevoli che anche in quella nuova coalizione la nostra spinta riformista avrebbe necessitato di costante pressione e capacità di traino degli alleati, non sempre pronti nei fatti alle evoluzioni e alle riforme.
Ora però le elezioni ci hanno invitato a riflettere e riteniamo necessario avviare un periodo di dialogo, primariamente con le altre forze di opposizione ma senza rinunciare ad un confronto costruttivo con i partiti che fanno parte della maggioranza, qualora si dimostrasse attenzione e concreta disponibilità a confrontarsi seriamente ed a valutare e raccogliere le proposte che la nostra elaborazione politica sarà in grado di offrire.
Ad oggi dobbiamo registrare che mentre con le forze di opposizione questo dialogo si è avviato, è stato invece infruttuoso il confronto con i partiti di maggioranza cui critichiamo primariamente il metodo sin qui tenuto. Confronto non significa convocare ed informare; confronto in politica è aprirsi nel merito sui temi, essere disposti a raccogliere le critiche e gli eventuali interventi finalizzati al miglioramento, nei tempi utili e ragionevoli.
Per il bene del Paese ci auguriamo che questa stagione si possa aprire quanto prima e saremo pronti a dare il nostro contributo. Per il bene del paese auspichiamo che questa stagione di alta conflittualità, guerre intestine, divisioni, la cui continuazione rischia di lasciare solo macerie sul campo, termini subito per lasciare spazio al ragionamento, al dialogo e alla costruzione nell’interesse generale. San Marino ha ancora molto da fare per rilanciarsi e non può riuscirci se le energie di cui dispone sono impegnate a combattersi. Serve una riappacificazione del paese vera e duratura e su questo il PSD intende spendersi e invitare tutti alla riflessione per un cambio di rotta.
Nell’interesse di tutti: dei cittadini, del paese e soprattutto delle giovani generazioni e di quelle che verranno.

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