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Consigliere Lazzari sul riferimento segreto in aula sulle banche

29 mag 2015
Consigliere Lazzari sul riferimento segreto in aula sulle banche
Chiunque si inoltri nell’ufficio fidi di una qualsiasi banca sa di andare incontro al terzo grado. Quando invece il denaro segue il percorso inverso, zitti e mosca. Tutti. Compreso il consiglio grande e generale. Comma segreto e microfoni spenti. Che cos’è che i sammarinesi non devono sapere? Ce n’è abbastanza per una sommossa popolare: 1) nessun paese al mondo - ad eccezione di San Marino - è intervenuto a sostegno delle banche per mezzo di finanziamenti a fondo perduto; 2) col rilascio dei nulla osta la politica ha rubato alla collettività centinaia di milioni di euro; 3) le finanze pubbliche vengono depauperate senza nemmeno che vi sia la possibilità di sapere chi si nasconde dietro alle quote societarie; 4) i banchieri e i manager disonesti sono tutti impuniti e conservano integralmente i loro patrimoni; 5) gli sbilanci patrimoniali che lo Stato onora sono determinati nella confusione più totale, decine e decine di milioni di euro gestiti come una manciata di centesimi; 6) ad approfittarsi del credito d’imposta, per alleggerirsi dei debiti personali, sono proprio quei politici e quei professionisti d’affari responsabili del default. E si potrebbe proseguire oltre.

Il Consiglio operaio
Se è vero, com’è vero, che le banche sono il sancta sanctorum dell’economia sammarinese, chi è, dunque, il sommo sacerdote? Colui che conosce le formule per esercitare su di esso una forma di controllo: il vertice di banca centrale. Il consiglio grande e generale ha un ruolo ben più modesto: a lui spettano i lavori di riparazione che di tanto in tanto si rendono necessari all’interno del cubo perfetto. Non gli è concesso scostare la tenda purpurea, calpestare la superficie sacra. All’occorrenza è calato con delle corde dal soffitto, nel buio, con lo sguardo costretto verso le pareti esterne. Nel grande Tempio di Salomone, il consiglio grande e generale, non è che l’operaio.
C’è un’immagine che rappresenta perfettamente la condizione miserabonda della sovranità della Repubblica: la conferenza stampa tenutasi all’indomani del dibattito muto. Al centro del tavolo, disinvolti e sorridenti, Clarizia e Giannini, ai lati, sguardo basso e sconsolato, i segretari di stato Valentini e Capicchioni. I potenti uomini romani hanno dimostrato che persino il congresso di stato può essere usato come loro attaccapanni. Si capisce bene, dunque, che i meccanismi di governo sono completamente svuotati di ogni sovranità popolare: non sono più i sammarinesi ad autodeterminarsi, a decidere di loro stessi, ma i tanti cardinali Alberoni della finanza che hanno invaso la Repubblica nella lunga notte del nuovo ventennio. Nemmeno il sospetto dell’appartenenza a una rete di potere che ha nel ministro Angelino Alfano il suo riferimento più alto (invito tutti a leggere sull’Espresso l’articolo dello scorso aprile di Emiliano Fittipaldi) e le indagini svolte dai commissari della legge sammarinese, hanno trattenuto il congresso di stato dall’umiliarsi.

La bestemmia
Arriviamo così all’inascoltabile leitmotiv dello scontro tra istituzioni: magistratura versus banca centrale. Una logica stupida secondo la quale anche il rinvio a giudizio nei confronti dei consiglieri coinvolti nella vicenda Mazzini rappresenterebbe uno scontro tra istituzioni. Ebbene: negare la funzione accusatoria della magistratuta è una bestemmia contro il diritto. Chi bestemmia per solito lo fa con trasporto e convinzione. Il congresso di stato, invece, bestemmia con misura e sottovoce. Però bestemmia. Che sia un atto di deferenza verso l’Italia? Oppure qualcosa lo lega indissolubilmente al sommo sacerdote? La vicenda Gentili non ha insegnato niente. Forse, per il congresso di stato, correre dei rischi è l’unico modo per uscire dalla condizione di noia dell’essere continuamente in compagnia di se stesso.

Una parola di verità
Vi è un consigliere di maggioranza cui va riconosciuto il merito di aver squartato il velo d’ipocrisia steso sul dibattito: Gian Nicola Berti. Con coraggio ha affermato che il debito cumulativo delle banche potrebbe essere di molto superiore ai 155 milioni riferiti dal segretario Capicchioni, con conseguente rimborso da parte dello Stato attraverso il credito d’imposta. I segni di nervosismo sono stati evidenti. Se ne trova traccia anche nell’ordine del giorno successivo al dibattito: si corre a chiudere la stalla, ma i buoi sono già scappati. I danni saranno evidenti per molti anni. La miglior traduzione dell’astrusa e diabolica invenzione del credito d’imposta l’ha data il consigliere Roberto Ciavatta nel suo bell’intervento (purtroppo udito solo in aula): debito pubblico.

Attenzione a Cassa di Risparmio!
Non si può non spendere una parola su Cassa di Risparmio. Anche qui le macerie dell’ex segretario Felici la fanno da protagonista. Per lui, da buon post-comunista, l’operazione Cassa di Risparmio è stata solo l’occasione per portare la nomina del consiglio di amministrazione della banca nelle mani del congresso di stato. A essere nominati sono i soliti fiduciari e sottoposti di partito, è la solita incompetenza ubbidiente. Eppure l’FMI - a cui l’ex segretario Felici è tanto affezionato - in tutti i report insiste sull’importanza di dare a Cassa di Risparmio una governance di alto profilo, estranea alla politica. L’ex segretario Felici avrebbe potuto fare di Cassa di Risparmio il motore finanziario dello sviluppo, e invece finirà con l’essere privatizzata. Infatti, anche se ai più è sfuggito, il segretario Capicchioni, in un passaggio del suo riferimento, ha lasciato intendere che non c’è possibilità di accantonare la quota capitale dei titoli del debito emessi per la ricapitalizzazione di Cassa di Risparmio. In altre parole, a breve, si dovranno aprire le porte della proprietà a dei soggetti privati. Io non so quali siano questi soggetti. Però ho premura che con Cassa di Risparmio i sammarinesi possano perdere non solo un patrimonio finanziario collettivo, ma anche un patrimonio identitario, storico e culturale, che tanto ha contribuito allo sviluppo della Repubblica.

Luca Lazzari

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