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Don Mangiarotti: "No, difendere le ragioni della vita non è un «tabù»"

13 gen 2021
Don Mangiarotti: "No, difendere le ragioni della vita non è un «tabù»"

È di questi giorni la discussione sulle linee guida sul «Piano pandemico» che viene redatto in Italia dopo tanti anni dal precedente, e che dovrebbe dare indicazioni aggiornate sulle questioni sanitarie in caso di pandemia. Non entro in merito alla discussione, che chiede certo più di un breve articolo su un giornale e che abbisogna di esperti qualificati, capaci sia di senso critico sia di chiarezza di giudizio nelle motivazioni addotte. Quello che mi colpisce, e che mi ha fatto prendere la metaforica penna, sono stati i titoli di due quotidiani che ho letto sulla Rassegna Stampa della TV di San Marino. Ieri Il Resto del Carlino così titolava: “Cade il tabù: curare chi può salvarsi. Pronto il nuovo piano pandemico. «Se le risorse sono insufficienti, la precedenza va data a chi ha maggiori possibilità» Arriva il vaccino Moderna. L’ipotesi: immunizzare subito over 80 e docenti” e oggi il Corriere di Romagna: “Emergenza covid: il piano choc del Ministero. Cura solo a chi può farcela. Medici e preti non ci stanno. Il sacerdote-dottore e professore di Bioetica: «Si cura chi si può curare» Il medico di famiglia: «Inaccettabile, si aiuta anche chi tenta il suicidio»”. Certo, il problema è reale. Se le risorse non sono infinite, bisogna pure decidere in che modo ripartirle. E questo è ciò che da sempre devono decidere i medici. Qui a San Marino il Comitato di Bioetica aveva dato un parere equilibrato e corretto. Ma che cosa colpisce in quello che scrivono i giornali citati, in particolare il Resto del Carlino? «Cade un tabù», sì, avete letto bene. Una norma che, così come citata dall’articolo sembra aprire ad una forma di eutanasia (e non si parla di suicidio assistito) dove chi decide è comunque il medico, in base a criteri in qualche modo indiscutibili (in particolare si può pensare all’età…) viene salutata come il superamento di un tabù. Ma se la difesa della vita, soprattutto nelle sue fasi di maggiore debolezza, viene definita un tabù, allora è segno che la barbarie sta diventando un dato normale, e che l’inciviltà diventa regola, cancellando secoli di rispetto della vita e di impegno per il bene di tutti. Quanto in tempi terribili avevamo visto con orrore, la definizione di «vite inutili» del tempo del nazismo, e quanto ci ha mobilitato di fronte alla morte procurata di Alfie Evans, di Charlie Gard e di Vincent Lambert (e la lista purtroppo non è terminata) perché la loro vita era considerata «indegna di essere vissuta» sembra avere lasciato nelle coscienze l’idea che la loro difesa sia stata un tabù di cui finalmente ci si potrà sbarazzare. Per fortuna, sembra fare intuire il titolo del Corriere di Romagna, «Medici e preti non ci stanno». Saremo all’inizio di una riscossa o al termine di una civiltà? Spero che la nostra «Antica terra della libertà» sappia scegliere nel senso della ragionevole difesa della vita.

c.s. Don Gabriele Mangiarotti



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