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Don Mangiarotti: Potessimo avere il cuore di Leah Sharibu

26 gen 2021
Don Mangiarotti: Potessimo avere il cuore di Leah Sharibu

Ci sono notizie che, quando trapelano, superando le maglie della indifferenza, sconvolgono per la forza di testimonianza che evidenziano. Seguo spesso quanto il giornalista Giulio Meotti scrive riguardo ai temi che nella fretta e nella superficialità di certa informazione sono cancellati, silenziati come fossero irrilevanti, a riguardo di situazioni di odio anticristiano, di persecuzione, di strapotere del fanatismo islamico. E allora si apre uno scenario che colpisce e mobilita, mostrando che spesso l’enfasi sulle fake news spesso nasconde quel silenzio – colpevole ? – sulle troppe ingiustizie nei confronti di uomini e donne la cui unica colpa è quella di non appartenere all’establishment del potere del momento. Leggevo dunque questa notizia: «Papa Francesco all’Angelus ha parlato e pregato per la morte del senzatetto nigeriano Ewin, morto di freddo vicino al colonnato di San Pietro. “Ci sia di motivo quanto detto da San Gregorio Magno che dinnanzi alla morte per freddo di un mendicante non si sarebbero celebrate messe perché era come il venerdì santo. Pensiamo ad Ewin, ignorato da tutti, abbandonato anche da noi”. Il Santo Padre ha di Ewin un esempio contro l’indifferenza. Sarebbe necessario che nei media e anche fra gli uomini di Chiesa - sempre attenti all’accoglienza ma un po’ meno alla persecuzione - si udissero anche queste parole: “Pensiamo a Leah, ignorata da tutti, abbandonata anche da noi”. E’ stato infatti il terzo Natale che Leah Sharibu ha passato nelle mani di Boko Haram, il più feroce gruppo terroristico islamico d’Africa. Venne rapita dal suo villaggio di Dapchi il 19 febbraio 2018 che aveva soltanto 14 anni. E’ l’unica ragazza cristiana tra le scolare di Dapchi che, nonostante avesse potuto essere liberata insieme alle compagne di scuola, ha rifiutato di convertirsi all’Islam. Le ragazze che erano con lei hanno raccontato: “Boko Haram disse a Leah di accettare l’islam e lei rifiutò. Quindi dissero che non sarebbe venuta con noi e che sarebbe dovuta tornare a sedersi con altre tre ragazze che avevano lì. L’abbiamo supplicata di recitare la dichiarazione islamica, di mettere l’hijab e salire sul veicolo, ma lei ha detto che non era la sua fede, quindi perché avrebbe dovuto dirlo? Se vogliono ucciderla, possono andare avanti, ma lei non dirà che è musulmana”. Lo ha confessato anche Muhammadu Buhari, il presidente della Nigeria: “Leah è ancora nelle mani dei terroristi perché, a loro dire, non ha abiurato la sua fede cristiana”. Siamo in terra di martirio quasi quotidiano. Pochi giorni fa un altro sacerdote cattolico è stato assassinato in Nigeria dopo aver detto messa. I media italiani di Leah parlano poco, quasi per niente. Fanno più titoli e clic le rapite dai terroristi che si mettono il velo e si convertono all’Islam. Nessun hashtag per Leah. E si fatica a trovare anche una parola di preghiera.» Come rimanere insensibili di fronte a questa giovane, rapita a 14 (sì, quattordici) anni le cui amiche hanno ricordato questo loro pensiero: «L’abbiamo supplicata di recitare la dichiarazione islamica, di mettere l’hijab e salire sul veicolo, ma lei ha detto che non era la sua fede, quindi perché avrebbe dovuto dirlo?» In questa giornata di preghiera e riflessione sulla comunicazione, credo che la vicenda di Leah ci dovrà stimolare a farci voce di tutti coloro che non si piegano di fronte a un potere che vorrebbe cancellare la loro identità, le loro convinzioni, i loro luoghi. Per evitare che il pensiero dolorante e terribile del pastore Niemöller descriva il nostro presente: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”. Tempo fa lessi la poesia di Rimbaud, La canzone della torre più alta, e mi ha commosso il grido: «Oh, venga il tempo dei cuori che s’infiammano» con quel suo intraducibile «Ah ! Que le temps vienne / Où les coeurs s’éprennent.»! E come non pensare a quella giovanissima il cui cuore non cede alle lusinghe di una religione che la libererebbe solo se accettasse pure la menzogna di una finta convinzione. Che chi comunica al cuore dell’uomo sappia, come ha fatto Giulio Meotti, inabissarsi nel profondo della realtà e comunicarci la bellezza di chi preferisce la dignità al compromesso. E che noi non abbiamo a dimenticare quegli sprazzi di luce che, col volto di una ragazzina, ci mostrano che cosa significa vivere senza vergognarsi.

Comunicato stampa
Don Gabriele Mangiarotti


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