Il governo dei decreti

Il governo dei decreti.

Oramai da molti mesi vanno in onda sedute del Consiglio Grande e Generale tipiche di fine legislatura, cioè senza argomenti significativi in discussione: le forze politiche sono in “pre-campagna elettorale” (cit: il Segretario Pedini) e sembrano più impegnate a pensare a tattiche, strategie, alleanze piuttosto che ai contenuti. L’agonia che il Paese sta vivendo, le problematiche del caro vita, dei mutui che rischiano di diventare insostenibili, delle difficoltà delle banche alle prese con l’aumento dei tassi, del bilancio che vede calare le entrate al netto dell’inflazione, dell’andamento demografico sempre più problematico, di un tasso di natalità crollato, della perdurante totale dipendenza dall’esterno per energia, acqua e rifiuti, ecc., non sembrano interessare a nessuno all’interno del Governo e della maggioranza. In questo quadro, il rinnovo del debito (che dovrà avvenire entro i prossimi mesi) rischia di essere un bagno di sangue ed una eredità pesantissima per la prossima legislatura. Così, nel disinteresse generale, il Governo ha campo libero per sfornare Decreti su Decreti in qualunque materia. Nell’ultimo Consiglio, ha continuato ad agire indisturbata la “Segreteria per il Contrasto alle Attività Economiche” (ricordiamo, composta dalle Segreterie al Lavoro, alla Sanità e all’Industria): dopo che con la riforma del lavoro e delle pensioni si era creato un aggravio di costi enormi sulle società per l’inquadramento dell’amministratore (vuoi come dipendente, vuoi come operativo non dipendente), ci si attendevano modifiche che riportassero un minimo di competitività nel sistema. Lo avevano chiesto, con fermezza ma con ragionevolezza, commercialisti e associazioni di categoria. Nulla da fare, l’unica modifica sostanziale portata è stata quella di ridare totale discrezionalità alla Commissione per il Lavoro che deciderà, caso per caso, chi potrà avere esenzioni dall’applicazione della nuova legge, e chi no. Riportare discrezionalità e approcci “caso per caso” è l’esatto contrario di quello che occorre fare. Per chi non sarà fortunato (o non sarà nelle grazie di qualcuno), l’alternativa sarà tra l’assunzione dell’amministratore almeno al 5° livello (con i costi che questo porta con sé) oppure pagare 9.000€ di contributi annui (a prescindere, ovviamente, che si guadagnino o meno) per inquadrarlo come amministratore operativo: a questo, ovviamente, vanno sommati tutti gli altri costi (affitto, licenza, costo dei professionisti, ecc…) che portano ad almeno 12-13 mila euro le spese che una società deve sostenere annualmente solo per esistere: una follia assoluta che abbiamo provato a contrastare, senza successo! Ma, in linea con la campagna elettorale in arrivo, il Governo non poteva dimenticare qualche bella infornata nella PA. Non contento di avere aumentato il numero di dipendenti pubblici di 150 unità circa nel 2022 (rispetto al 2021, dati dell’Ufficio di Statistica), il Governo prosegue inserendone altri 25 con l’ultimo Decreto sul fabbisogno. Personale, tra l’altro, con profili di ruolo “generici” e non specializzati, tendenza assolutamente opposta rispetto a quelle che sarebbero le esigenze dell’amministrazione. La spending review è un lontano ricordo, nonostante i 70 milioni di disavanzo annuo e un debito sempre più complesso da gestire: le esigenze elettorali sono molto più importanti. Siamo estremamente preoccupati per come sarà gestito il Paese in questo anno e mezzo che ci separa dalle elezioni: una preoccupante inerzia decisionale abbinata ad errori e clientelismo elettorale potrebbero rovinarci definitivamente.

Cs - Repubblica Futura

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