Il volto di un amore più forte: la suora in ginocchio davanti alla polizia in Myanmar

Il volto di un amore più forte: la suora in ginocchio davanti alla polizia in Myanmar.

Ci sono immagini che spalancano il cuore, lo riscaldano e sono un invito alla imitazione commossa. Tutti noi abbiamo davanti agli occhi l’immagine di quel giovane che, da solo, in Piazza Tian Men, in Cina, ferma con la sua sola presenza, i carri armati inviati per quella strage di giovani dal governo cinese (che poi purtroppo la strage l’hanno compiuta). Un giovane coraggioso, di cui tutti noi andiamo fieri, perché ci ha ricordato che c’è qualcosa di più grande per cui vale la pena dare la vita. E quale è la commozione vedendo Suor Ann Nu Thawng che, in Myanmar, in ginocchio, prega davanti alla polizia schierata contro i giovani manifestanti. Il suo gesto ha fermato i poliziotti e ha salvato la vita a molti giovani (e del resto lei ne aveva ospitati molti nel suo convento, senza paura di ritorsioni). Ecco, abbiamo bisogno di uomini e donne così, che, come ha ricordato il grande Papa s. Giovanni Paolo II, si alzeranno in piedi (e si metteranno in ginocchio) ogni qualvolta la vita umana sarà minacciata, e questo, sempre secondo le sue parole, dal concepimento fino al suo termine naturale. La storia è fatta da tutte quelle persone che, con il loro coraggio, danno voce al cuore dell’uomo che sa che la regola buona del vivere è l’amore e il perdono. E credo che compito della comunicazione sia proprio quello di dare con rilievo queste notizie, facendo così quel servizio alla pace così urgente in questi tempi drammatici e ricordo ancora con meraviglia il primo Messaggio per la Giornata mondiale della Pace di Giovanni Paolo, quando ci ricordava: «Impariamo, anzitutto, a rileggere la storia dei popoli e dell'umanità secondo schemi più veri di quelli di una semplice concatenazione di guerre e di rivoluzioni. Certo il rumore delle battaglie domina la storia; ma sono le pause della violenza che hanno permesso di attuare quelle durature opere culturali, che fanno onore all'umanità. Anzi, se si son potuti trovare, nelle guerre e nelle rivoluzioni stesse, dei fattori di vita e di progresso, questi derivavano da aspirazioni di un ordine ben diverso da quello della violenza: aspirazioni di natura spirituale quali la volontà di veder riconosciuta una dignità comune a tutta l'umanità, di salvaguardare l'anima e la libertà di un popolo. Laddove tali aspirazioni erano presenti, esse operavano come elemento regolatore in seno ai conflitti, impedivano fratture irrimediabili, conservavano una speranza, preparavano una nuova favorevole occasione per la pace. E' facile constatare fino a che punto l'ironia acerba e la durezza nei giudizi, nella critica degli altri e soprattutto dell'«estraneo», la contestazione e la rivendicazione sistematiche invadano le mutue relazioni parlate e spengano con la carità sociale la giustizia stessa. A furia di esprimere tutto in termini di rapporti di forza, di lotte di gruppi e di classi, di amici e nemici, si crea il terreno propizio alle barriere sociali, al disprezzo, persino all'odio e al terrorismo e alla loro apologia sorniona o aperta. Al contrario, da un cuore dedito al valore superiore della pace derivano la preoccupazione di ascoltare e di capire, il rispetto dell'altro, la dolcezza che è forza vera, la fiducia. Un tale linguaggio mette sulla via dell'obiettività, della verità e della pace. E' grande, a questo proposito, il compito educativo dei mezzi di comunicazione sociale, come ha pure notevole influenza il modo con cui ci si esprime negli scambi e nei dibattiti dei confronti politici, nazionali e internazionali.» Che l’immagine di questa suora, che ha fatto il giro del mondo, sia il segno della nostra speranza e rinsaldi il cuore di tutti, in particolare dei nostri giovani. Ne abbiamo bisogno.

Don Gabriele Mangiarotti

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