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L'importanza della squadra, della gavetta, di avere un obiettivo e della voglia di rialzarsi

18 apr 2016
L'importanza della squadra, della gavetta, di avere un obiettivo e della voglia di rialzarsi
Sorrisi, momenti di riflessione e tanta voglia di ascoltare per crescere. Ha suscitato grandi emozioni la 19esima edizione del Networking Day. Il format di Evolution Forum di Gianluca Spadoni e Massimiliano Alvise tenutosi sabato a San Patrignano ha davvero entusiasmato i 1000 presenti, tutti accorsi per ascoltare gli interventi di cinque big in merito all' "Errore vincente". Un evento "per gente che non si rassegna, che sceglie di provare ad andare oltre all'errore, partendo da ciò che c'è di buono" come ha spiegato Spadoni in apertura, prima di lanciare Ciro Ferrara, al suo debutto come motivatore. "Quando nel '90 mi sono infortunato ho capito quanto sia importante la squadra - ha raccontato il campione - Ero costretto a saltare il mondiale, cercavo il colpevole e lo stare vicino alla squadra mi ha dato grande forza. Fra l'altro la frattura di tibia e perone mi costrinse a farmi mettere un ferro nella gamba che l'anno successivo mi diede un fastidio incedibile nel giocare. Il dottore mi disse che togliendo il ferro potevo rischiare di farmi male nuovamente dovevo corre il rischio. Lì ho capito che a volte bisogna prendersi dei rischi per raggiungere il proprio obiettivo".
A regalare grandi risate al pubblico Enzo Iacchetti che dopo aver omaggiato la comunità, "un posto fra i più importanti per il futuro dei nostri ragazzi", ha raccontato dei suoi errori e della fatica ad emergere: "I miei primi passi sono durati 30 anni. Ho preso palate in faccia fino a 39 anni, ma a 9 anni avevo capito di avere un dono, mi piaceva stare sul palco. Ho ricercato il talento e andavo da solo contro tutti. Finché non ho fatto il provino con Maurizio Costanzo con cui ho fatto 173 puntate. Ho capito che dobbiamo lottare tutta la vita affinché il nostro dono produca un bene e imparato che il dono che abbiamo si sviluppa meglio nelle difficoltà". E poi una riflessione sull'importanza di fare la "gavetta": "La gavetta significa sapere dove andare. Sono convinto che oggi un ventenne che ha un dono ha sempre bisogno di qualcuno a fianco che lo possa indirizzare". E nessuna voglia di ritirarsi e godersi i frutti del suo impegno a 64 anni: "L'attore non si ritira mai, muore e basta. È un mestiere fortunato, hai sempre voglia di farlo. È più faticoso con gli anni, ma se smettessi di salire sul palco la depressione mi ammazzerebbe".
A parlare dell'importanza dell'errore anche lo psichiatra Paolo Crepet: "Uno che non ha mai sbagliato è un imbecille. La cosa più bella è riconoscere gli errori, mentre vanno temute le omissioni. È triste la favola della volpe e dell'uva, chi per paura di non farcela non ci prova neppure. La vita è provocazione continua. Noi dobbiamo essere dei cacciatori di orizzonti".
Molto interessante l'intervento dell'imprenditore Ernesto Preatoni, l'inventore di Sharm El Sheik: "La mia fortuna è stata di sapere disse sfortunato. Pensando al peggio guardi sempre avanti. E poi ho capito che non è mai troppo tardi per studiare. A 65 anni ho ripreso in mano i libri di economia. Oggi a 73 anni ho raggiunto un livello di conoscenza tale che sarebbe uno spreco se mi ritirassi e non facessi più nulla. Ciò che ho fatto va usato nel miglior modo. Devo ritrasmettere ad altri ciò che ho fatto".
Chiusura di giornata degna di un film. Dopo la formatrice Nicoletta Todeschini è salito sul palco il campione di volley Giacomo Jack Sintini, che ha raccontato della sua voglia di rialzarsi, dopo la diagnosi del cancro, meritando la standing ovation dei presenti: "Quando mi rivelarono il mio problema, mi dissi che sarebbe stato peggio se fosse capitato a qualcuno a cui volevo bene. Ho dato tutto per superare quel momento, con tutta la grinta possibile. Non mi potevo arrendere, anche per l'esempio di altri. Quando il medico mi disse che potevo tornare a giocare pensai subito alla serie A. Avevo un obiettivo e con grande impegno mi sono migliorato ogni giorno, finché non è arrivata la chiamata di Trento, allora la squadra più forte al mondo. Ero il secondo alzatore ma di fatto non gioco quasi mai, finché non mi ritrovo titolare in gara cinque di finale scudetto. Sento il sostegno di tutta Italia e la favola non poteva finire meglio. Li ho capito che i campioni non trovano scuse, giocano per vincere indipendentemente dai mezzi che hanno, qualsiasi sia la situazione".

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