Questo la Pasqua ci ha insegnato

Questo la Pasqua ci ha insegnato.

Ci sono affermazioni che, dopo la loro comunicazione agli uomini, iniziano una strada dalle imprevedibili conseguenze. Basti pensare al «Cogito ergo sum», di Cartesio, e all’impatto che ha avuto per costituire la modernità, con i suoi pregi e difetti. E non importa che, soggettivamente, Cartesio volesse essere figlio devoto della Chiesa: il processo iniziato ha portato certo (e non solo questo) alla scristianizzazione dell’Occidente. C’è una grande incognita nell’avviare processi, se manca poi un soggetto che li sappia guidare e non farsene travolgere. E questo vale anche per le novità sconvolgenti, soprattutto nel bene: basta pensare alla forza che le parole di Gesù hanno avuto per costruire una realtà umana e sociale colma del rispetto per ogni uomo. Dalla affermazione dell’amore a Dio e al prossimo come senso della legge, di ogni legge, fino all’invito al perdono persino per chi ti crocifigge, per non dimenticare le parole alla adultera e poi ai discepoli per riconoscere il valore di ogni piccolo (col giudizio terribile della macina di mulino al collo per chi «scandalizza uno di questi fratelli più piccoli»). Le parole della Pasqua, cui ci avviciniamo in questi giorni (e che possiamo, grazie a Dio, celebrare in presenza, pur mantenendo i giusti comportamenti e le necessarie distanze) ci mostrano che la speranza portata nella storia da un Uomo crocifisso e risorto è un fermento, un principio che consegna alla vita di tutti un nuovo criterio di relazioni, un rispetto assoluto e indiscutibile, al punto che la giustizia autentica chiede solo di realizzarlo, combattendo perché innervi anche la vita pubblica e sociale. E qui mi piace ricordare quanto sostiene la «Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America», quegli Stati il cui Presidente Abramo Lincoln amava la nostra piccola Repubblica: «Noi riteniamo che queste verità siano di per sé evidenti, che tutti gli uomini sono stati creati eguali e che sono dotati dal loro Creatore di certi inalienabili diritti tra i quali quelli alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità; che per salvaguardarli vengono istituiti fra gli uomini i governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qual volta una forma di governo tende a distruggere questi fini è diritto del popolo modificarla o abolirla e di istituire un nuovo governo, fondandolo sui princìpi e organizzandone i poteri nel modo che gli paia più conveniente a realizzare la propria sicurezza e felicità». Di fronte a queste parole che incarnano, nella concretezza di una prospettiva di governo dei popoli, quanto il cristianesimo ha portato di bene a tutti gli uomini, sembrano sempre più contraddittorie le affermazioni di Italo Calvino che, per difendere il diritto all’aborto, così si esprimeva: «Un essere umano diventa tale non per il casuale verificarsi di certe condizioni biologiche, ma per un atto di volontà e d’amore da parte degli altri». Ogni uomo trae il suo valore e la sua dignità, i suoi diritti e il rispetto che gli è dovuto, non dalla volontà altrui, come arbitraria concessione, ma dal suo essere creatura. E lo Stato (e la comunità umana) ha il solo compito di riconoscere e difendere (e non concedere) quanto definisce ogni uomo, soprattutto mettendo ogni energia nei confronti dei soggetti più deboli e indifesi. Questo la Pasqua ci ha insegnato!

Don Gabriele Mangiarotti

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