"Decollo Money": proseguono gli "scarichi di responsabilità" tra gli imputati

Il primo ad essere sentito oggi, dal Commissario della Legge Felici, è stato Pietro Daidone: già membro del Consiglio di Amministrazione di Credito Sammarinese, in rappresentanza di un socio di minoranza. Sin dal principio dell'interrogatorio ha preso le distanze dall'affidamento concesso a Barbieri: lo 'ndranghetista ucciso in un agguato nel marzo 2011. “Ero il rompiscatole del consiglio - ha detto Daidone –; si può dunque immaginare come avrei reagito se avessi saputo dell'apertura di un conto corrente ad un soggetto non identificato, e con il versamento di una somma abnorme in contanti. Il fatto – ha spiegato – è che quando si discusse della cosa in CdA, di certo non vennero evidenziati, da chi illustrò la pratica, i sospetti rapporti tra Barbieri e la criminalità organizzata”. A seguire le dichiarazioni spontanee del figlio di Lucio Amati, Mario. Rispetto alla seduta nella quale si decise sull'affidamento, ricorda che si parlò di un “albergatore di Bologna”, e non ci sarebbe stata la percezione di qualcosa di irregolare. Secondo Mario Amati, i professionisti che componevano il CdA non avrebbero mai messo a rischio la propria carriera per quella operazione; ma la stessa cosa – a suo avviso – non si può dire per chi avrebbe “ricevuto quei denari”. Poi è stato il turno di Davide Zoffoli, più volte chiamato in causa, da altri imputati, come l'uomo che istruì la pratica Barbieri, che sarebbe poi stata sottoposta all'attenzione del CdA, “depurata” da elementi critici. Dichiarazioni molto attese – dunque - le sue; iniziate ricordando che - nel procedimento in Italia, su questa vicenda – la sua posizione è già stata archiviata. “All'epoca – ha detto – non solo non ero responsabile crediti dell'istituto, come è stato riferito; ma non ero neppure dipendente, bensì un semplice collaboratore. Non ho istruito io la pratica; ero un mero portatore di caffè. Sono stato utilizzato e strumentalizzato a mia insaputa”. In chiusura di udienza le dichiarazioni spontanee – lette in aula dal difensore d'ufficio – di Domenico Macrì e Giorgio Galiano. Quest'ultimo – genero di Barbieri – ha affermato di non sapere nulla del presunto riciclaggio. “La mia unica colpa – ha scritto – è stata quella di accettare la richiesta di mio suocero di aprire un conto a San Marino, perché in Italia ero protestato”. Il processo si avvia ora alla conclusione; prossime tappe la requisitoria del PF e le arringhe dei legali. Poi la sentenza.

I più letti della settimana:

Questo sito fa uso di cookie, anche di terze parti, necessari al funzionamento e utili alle finalità illustrate nella privacy e cookie policy.
Per maggiori dettagli o negare il consenso a tutti o alcuni cookie consulta la nostra privacy & cookie policy