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“L’autenticità è tutto” — Lucio Corsi si racconta | Intervista da Basilea (Eurovision 2025)

In occasione dell'Eurovision Song Contest 2025 a Basilea, abbiamo incontrato Lucio Corsi, cantautore visionario e anticonvenzionale, per una chiacchierata intensa e poetica sulla scrittura, l'autenticità artistica e l'amore per la narrazione musicale.

di Filippo Mariotti
14 mag 2025
L'intervista, da Basilea, di Lucio Corsi
L'intervista, da Basilea, di Lucio Corsi

Dall’urgenza di scrivere alle influenze di Ivan Graziani, Lucio Corsi ci racconta il suo percorso, il valore della diversità nella musica, e l’importanza di restare fedeli a sé stessi — anche su un palco globale come l’ESC. Con un’armonica “clandestina”, un tocco di ironia e tanta sincerità, Corsi ci offre uno spaccato raro della sua visione artistica.

Quando scrivi, da dove nasce questa urgenza? È un bisogno di raccontare oppure di fuggire e magari anche di costruire un mondo che non è quello che è?

Sì, tutte queste cose mi spingono a mettermi al pianoforte, alla chitarra e fin da ragazzino insomma ho iniziato a scrivere le canzoni così e a divertirmi facendolo perché quando si ha un foglio bianco davanti ti puoi reinventare le cose, puoi ridisegnare quello che ti circonda e una cosa che mi affascina sempre è reinventarmi anche il passato, cioè perché il futuro è sempre sorprendente nel bene o nel male, il passato invece lo conosci già e non ti sorprende più, se invece mescoli le carte del tuo passato, ci infili dentro dei ricordi anche di altre persone, te lo reinventi, quando lo riguardi ti sorprendi, non sapevo di aver fatto anche questa cosa, anche se non è vero, ti inganni e poi nella musica puoi fuggire, mi piacciono, amo le canzoni senza tempo, quelle che non hanno riferimenti al presente ma che possono essere del futuro come del passato, che vanno in giro dove gli pare e insomma tutto questo la musica ci consente di farlo con tante sfaccettature dentro, a livello di suono, a livello di arrangiamento, di strumenti scelti per determinate canzoni, di lingua, di parole, l'italiano è una lingua divertente da usare in musica perché una stessa frase la puoi dire in mille modi diversi, con dei ritmi diversi dentro, insomma è un rebus, la vivo così, è un divertimento.

In molti ti hanno accostato a grandi cantautori. Adesso ti abbiamo visto con un'armonica che ricorda Bennato. Il tuo modo di stare sul palco, di non essere convenzionale, mi fa pensare a Ivan Graziani. Quanto ti rivedi in lui? Quanto c’è di Ivan in te?

Ma è assolutamente d'ispirazione, è uno dei cantautori che amo di più insieme a Dalla, Paolo Conte e a Flavio Giurato, questi sono i miei cantautori preferiti italiani. Però tanto anche Bennato, insomma Vasco, mi piacciono tantissime cose della musica italiana. Però sì, Ivan me lo faceva sentire mio padre da piccolo in macchina, mi faceva paura, sentivo "I Lupi", quella voce comunque particolare, l'atmosfera di quella canzone mi metteva terrore proprio, e questa cosa me la sono portata dentro. Pensa alla potenza della musica che può anche suscitare paura, è una cosa bellissima, perché poi quel fatto lì ha fatto sì che Ivan me lo portassi dietro ed è diventato proprio uno dei miei preferiti per quello, perché mi suscitava un'emozione particolare da bambino. E poi l'ho scoperto per bene, il suo modo di raccontare personaggi nelle canzoni è incredibile, è una cosa che si è persa un po' oggi. Invece è bello farlo nelle canzoni, raccontare di sagome, di personaggi, di storie. La parte narrativa nei testi è una cosa da portare avanti.

Come Ivan, sembri fregartene delle mode. Cosa significa per te essere popolare oggi e cosa invece vuol dire essere autentici?

Nelle forme d'espressione l'autenticità, cioè l'essere se stessi e portare avanti la propria idea senza tanti compromessi e robe del genere è fondamentale, se no non regge più, cioè non vale più la pena, perché che senso ha? È proprio una forma d'espressione la musica, come la pittura: se non c'è quella cosa lì alla base non ha senso farlo, e perciò è così. Ovviamente poi il tempo è un'onda: a volte tornano su delle cose che tornano alle orecchie di più persone, poi per lunghi periodi ci sono sempre, ma te le devi andare a cercare perché vanno un po' fuori moda, poi tornano. Però uno deve essere cosciente di questa cosa e fregarsene, e portare avanti il suo discorso. È così. Alla fine, se uno ce l'ha e ha qualcosa da dire, alla fine, come ti è successo, si viene fuori. È una fortuna e sono felice del fatto che la canzone sia stata capita a Sanremo e che possa suonare ora, fare più concerti, suonare davanti a più persone. È una cosa che mi riempie di gioia perché è quello che sogno di fare da sempre e che voglio fare per il resto della mia vita. Stare in tour per sempre è il mio sogno. Però sì, ci sono voluti anche tutti quegli anni di tentativi, di gavetta, anni in cui impari a fare qualcosa, a fare un lavoro.

Torniamo un attimo all’ESC: l’armonica è stata una sorpresa. Come hai fatto a suonarla dal vivo, visto che di solito è tutto playback?

Ah sì, perché l'armonica non ha bisogno di essere amplificata attraverso un jack. Ma senza polemiche: io non è che sono venuto qui a dire "suono uno strumento dal vivo perché qui non si può", non c'è polemica nel mio gesto. Ho chiesto se si poteva fare così, perché viene amplificata dal microfono. La voce è l'unica cosa live delle performance, perciò l'armonica va lì e si poteva fare. E ho detto: siamo su un palco, e se c'è la possibilità di suonare uno strumento lo voglio fare. Insomma, visto che la chitarra è in playback, il pianoforte è in playback, l'armonica si può: lo voglio fare.

C’è tantissima Italia in finale quest’anno. La cultura italiana funziona...

Certo, infatti sì. Assolutamente. È una bella cosa che ci siano diverse sfaccettature, è bello.

Una canzone dell’Eurovision che ti è piaciuta?

Mi piace la canzone dei ragazzi del Portogallo, i Napa. È molto bella secondo me.

Allora, grazie Lucio. In bocca al lupo per tutto.

Grazie, un saluto a San Marino, Terra di Motori.





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