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Caso Shalabayeva: Improta, "nessuno mi restituirà questi 9 anni"

L'ex questore di Rimini parla della sentenza di condanna di primo grado che nel 2020 si era abbattuta sulle sue spalle

11 giu 2022
Immagine di repertorio
Immagine di repertorio

"Ora devo andare all'Ufficio oggetti smarriti a recuperare 9 anni che ho perso. Non li ho trovati, non torneranno. Nessuno ci restituirà tutto questo tempo". Così Maurizio Improta, in un'intervista a 'Il Messaggero'. L'ex Capo dell'Ufficio immigrazione della Questura di Roma, direttore nazionale della Polizia ferroviaria, questore di Rimini, parla della sentenza di condanna di primo grado che nel 2020 si era abbattuta sulle sue spalle come un macigno, per l'accusa di sequestro di persona, esploso dopo caso diplomatico legato al rimpatrio di Alma Shalabayeva.

Una sentenza che il 9 giugno 2022 è stata completamente ribaltata dalla Corte d'Appello di Perugia: "Qualche settimana fa, a Perugia, ho reso spontanee dichiarazioni in aula proprio per esprimere la mia amarezza e la mia profonda sofferenza per quelle parole. Nelle motivazioni c'era scritto che era stato tradito il giuramento alla Costituzione, i giudici sostenevano che fosse addirittura venuta meno la fedeltà allo Stato per assecondare un paese straniero. Sono parole che mi hanno ferito - racconta Improta - mi hanno fatto male, si sono abbattute su di me e sugli altri imputati in modo violento. Ma alle parole devono corrispondere dei fatti. E i fatti raccontano una storia diversa. Le sentenze si rispettano, abbiamo rispettato quella di primo grado, ora rispettiamo anche quella di secondo grado".




"C'è stato uno stop dopo la sentenza di primo grado nel 2020. Ero capo della Polizia ferroviaria nazionale, avevo fatto 4 anni al vertice della Questura di Rimini, per altri 8 mesi ero stato dirigente del Compartimento Polizia Ferroviaria per l'Emilia Romagna - ricorda l'ex capo dell'Ufficio Immigrazione - ho dovuto imparare un nuovo lavoro: fino all'altro ieri mi sono occupato di Regolamento in materia di dati personali e privacy".

Improta quindi racconta cosa ha provato dopo la lettura della sentenza: "Sono consapevole che nella vita bisogna provare tutte le esperienze e io ne avevo già sperimentata una simile. Indirettamente avevo già provato questa sofferenza". "Penso a mio padre, che quando era prefetto di Napoli è stato costretto a dimettersi dopo essere stato accusato di avere falsificato la data in un documento - conclude Improta - se lo immagina? Dopo 5 anni è stato assolto. È morto dopo nemmeno un anno. Mio padre Umberto ha sofferto, avevo già conosciuto quella sofferenza che ti lacera, che ti segna".





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