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È morto il semiologo riminese Paolo Fabbri

2 giu 2020
È morto il semiologo riminese Paolo Fabbri

È morto Paolo Fabbri, noto semiologo riminese. Aveva 81 anni. Il suo percorso di studi parte a Firenze per arrivare a Parigi. Di nuovo in Italia, insegna Semiotica con Umberto Eco all’Università di Firenze e Filosofia del linguaggio all'Università di Urbino. Con Carlo Bo e Giuseppe Paioni, nel 1970 fonda il Centro Internazionale di Semiotica e di Linguistica. Passerà poi all'Università di Bologna - dove insegna al Dams, di cui sarà anche presidente –, alla Iuav di Venezia, allo Iulm di Milan e alla Luiss di Roma. Innumerevoli le sue pubblicazioni su linguaggio e comunicazione nelle riviste di tutto il mondo. Dal 2011 è stato direttore della Fondazione Federico Fellini di Rimini. Città che, nel 2019, lo ha insignito del Sigismondo d'oro.

Il messaggio di cordoglio del presidente della Regione, Stefano BonacciniSe ne va un intellettuale che ha saputo innovare studio e insegnamento della parola e del linguaggio, trasmessi in ogni forma espressiva. Per 25 anni professore al DAMS di Bologna, dove insieme a Umberto Eco aprì la strada a un nuovo insegnamento della semiotica, direttore dell’Istituto di cultura italiano a Parigi, insignito del Sigismondo d’Oro dal Comune di Rimini, la sua città, nel dicembre scorso, Paolo Fabbri ha rappresentato uno degli esponenti più importanti del panorama culturale italiano e della nostra terra. Ai suoi cari le più sentite condoglianze, mie personali e di tutta la Giunta regionale dell’Emilia-Romagna, così come esprimiamo vicinanza all’Università di Bologna e alla città di Rimini”.

In una lunga e sentita nota, anche il ricordo del sindaco di Rimini, Andrea Gnassi. "Rimini ha potuto onorare adeguatamente il professor Paolo Fabbri nello scorso dicembre consegnandoli il Sigismondo d’Oro. Dell’uomo che ha toccato i vertici culturali internazionali, avendo ogni genere di premio e merito, ho nella memoria le parole emozionate dell’annuncio del riconoscimento riminese. La sua Rimini che si trovava all’interno del teatro, in una giostra festosa e colorata, a dirgli grazie per ‘ avere, con i suoi studi e il suo lavoro incessante in Italia e nel mondo, dato valore e restituito alla parola il senso esatto delle cose, forma espressiva universale del dialogo possibile tra persone e culture diverse; per avere salvaguardato, lungo la contraddittoria evoluzione della società e del costume italiano degli ultimi cinquant'anni, ruolo e funzione del lavoro intellettuale, artefice di connessioni ai più invisibili ma essenziali per le relazioni umane; per essersi impegnato in prima persona per valorizzare personaggi, storie, iniziative anche del territorio, al di fuori da ogni provincialismo e trasformandole in occasioni di discussione e di attenzione nel più ampio panorama internazionale.’. Belle parole, sincere e meritate. Parole, comunque. Che Paolo Fabbri avrebbe interpretato per quel che erano e sono: il segno di una vita spesa a credere che andare oltre la superficie sia un dovere e una necessità per l’uomo. Come l’Ulisse di Dante. E Rimini la sua Itaca.


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