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Tagli all'editoria, cosa cambia e per quali giornali dopo l'ok alla manovra di bilancio

4 gen 2019
GiornaliTagli all'editoria, cosa cambia e per quali giornali dopo l'ok alla manovra di bilancio
Tagli all'editoria, cosa cambia e per quali giornali dopo l'ok alla manovra di bilancio - Il governo italiano ha proseguito l'opera iniziata da Renzi: dal 2022 fondi azzerati
Con la manovra approvata dal governo Lega-M5S nell'ultimo giorno utile, il 30 dicembre, diventa realtà anche il taglio dei fondi all'editoria. Vediamo dunque cosa accadrà.

Sfatiamo subito un luogo comune: non è vero che tutti i giornali prendono fondi pubblici. Con la riforma Lotti del 2017, voluta dal governo Renzi che ha iniziato dal 2014 una corposa sforbiciata ai contributi, su 18mila testate registrate, solo 150 vi hanno accesso. Si tratta di editori in cooperativa, giornali per le minoranze linguistiche, o appartenenti a fondazioni o enti morali no profit.
I “giornaloni”, come Repubblica o Corriere della Sera, non li prendono: sono quotati in borsa e ricevono finanziamenti da azionisti e pubblicità. Il sottosegretario con delega all'Editoria, Vito Crimi, ripeteva che in Italia non esistono più editori puri, ossia che non hanno interessi economici rilevanti al di fuori dell'editoria, ma non è vero nemmeno questo, poiché sono rimasti tali il Corriere della Sera, Il Giorno, il Resto del Carlino. Ma ad essere maggiormente colpiti dai tagli, alla fine, saranno poi proprio gli editori puri, come cooperative di giornalisti, quali il Manifesto, o il Corriere Romagna.
In base all'emendamento Patuanelli, dal nome del senatore 5Stelle primo firmatario, saranno “progressivamente ridotti fino alla loro abolizione” i contributi all'editoria. Come ha spiegato il ministro Luigi Di Maio, il primo taglio sarà del 25% nel 2019, del 50% nel 2020 e del 75% nel 2021, fino a che nel 2022 saranno azzerati.
Spariranno dunque i 5,9 milioni di euro per Avvenire, i 4,6 per Libero, i 4,5 per Italia Oggi, i 3 per Manifesto e gli 800mila per Il Foglio. Il Corriere Romagna non riceverà più 2 milioni di euro. Resteranno solo contributi inferiori a 500mila euro. Sempre in base alla riforma Lotti, che eroga i contributi a fine anno sull'anno precedente, il 2019 sarà l'ultimo coi contributi pieni.
E la Rai? Il governo ha previsto 40 milioni di contributi per il 2019 e altrettanti nel 2020. Apparentemente non toccata dai tagli dunque, eppure il sindacato Usigrai è uscito ufficialmente per spiegare alcune cose. Il governo Renzi aveva inserito il canone nella bolletta della luce: non era “extragettito”, puntualizza l'Usigrai, casomai è recupero di evasione, soldi mai entrati nelle casse Rai per anni. Sempre il governo Renzi ha destinato il 50% di questo recupero ad altre finalità fino al 2018; il governo Lega-M5S estende la validità della norma per sempre. Poi però prende 40 milioni da un altro capitolo di spesa e li gira alla Rai. Perché? Perché c'è un contratto di servizio che impone alla Rai alcuni obblighi, i quali hanno un costo. In sostanza, conclude Usigrai, il governo toglie circa 100 milioni alla Rai e ne restituisce 40. “È come se a un dipendente – conclude Usigrai – il datore di lavoro non pagasse 100 euro di stipendio e poi, in maniera plateale, prendesse 40 euro dal suo portafogli per ridarglieli”.

Francesca Biliotti

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