Bando Usa per Huawei, Andreini (Asi): "Siamo in una nuova guerra fredda"

Il fondatore della comapagnia Ren Zhengfei: "Le azioni degli Stati Uniti sottovalutano le nostre capacità"

Il bando di Trump non spaventa Huawei. Gli Stati Uniti ci sottovalutano, ha dichiarato il fondatore della compagnia cinese e dopo il tonfo di ieri le borse hanno reagito positivamente. Per il Presidente Asi Andreini siamo di fronte ad una nuova guerra fredda, questa volta tra Usa e Cina.

“L'estensione di 90 giorni non significa molto. Eravamo, comunque, già pronti ad affrontare il bando. Le azioni degli Stati Uniti sottovalutano le nostre capacità”: parola di Ren Zhengfei, fondatore e amministratore delegato di Huawei. E i mercati, almeno quelli asiatici e quelli europei, lo hanno creduto visto che dopo il tonfo di ieri delle borse e in particolare dei titoli tecnologici collegati alla major cinese, oggi c'è stato un recupero. Il tutto all'indomani dello strappo di Google che, in conseguenza del bando di Trump, ha sospeso per Huawei la licenza del sistema operativo Android, sia pure con una proroga di 3 mesi. Secondo gli esperti, in ogni caso, gli apparati del brand cinese già in circolazione, continueranno a funzionare e ad aggiornarsi normalmente, mentre eventuali problemi potrebbero esserci per quelli che usciranno prossimamente. Per Fabio Andreini, Presidente dell'Associazione Sammarinese Informatica, siamo in una nuova guerra fredda e questa volta è tra Stati Uniti e Cina: “Non è una questione tecnologica, ma principalmente geopolitica e – commenta - si inquadra nella guerra dei dazi alla Cina, da parte di Trump. E' impossibile prevedere cosa potrà accadere nel medio lungo termine, anche perché siamo di fronte ad un paradosso: come si fa dire cosa è cinese o cosa non lo è? Apple, per esempio – conclude Andreini - costruisce e assembla circa il 90% dei suoi prodotti in Cina”. E intanto, proprio oggi, la Nike ha inviato a Trump una lettera, insieme ad altre 172 aziende americane del settore, esortandolo a riconsiderare i dazi sulle scarpe fatte in Cina, dicendo che sarebbero "catastrofici per i consumatori, le aziende e l'intera economia americana". 

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