Nella notte di domenica il governo israeliano ha deciso unilateralmente di estendere la prima fase del cessate il fuoco con Hamas, nonostante l'opposizione del gruppo palestinese. L'accordo, entrato in vigore a gennaio, ha fermato 15 mesi di devastazione nella Striscia di Gaza. Hamas chiede ora il passaggio alla seconda fase, che prevede il ritiro definitivo delle forze israeliane e la liberazione di tutti gli ostaggi ancora detenuti. Tuttavia, Israele rifiuta di abbandonare del tutto la sua presenza militare nella Striscia, mantenendo il controllo su alcune zone strategiche.
I dettagli della seconda fase non erano stati definiti con precisione e sarebbero dovuti essere concordati nel corso della prima, durata sei settimane e scaduta il 1° marzo. Israele ha invece deciso di prolungarla unilateralmente per altre sette settimane, fino al 20 aprile, includendo Ramadan e Pasqua ebraica. Durante questo periodo, Hamas dovrebbe rilasciare metà degli ostaggi rimanenti, mentre la liberazione degli altri sarebbe vincolata a un cessate il fuoco definitivo.
Hamas, però, considera gli ostaggi la sua principale leva negoziale e teme che, senza garanzie sul ritiro dell'esercito israeliano, rilasciare altri prigionieri possa indebolire la sua posizione. Mahmoud Mardawi, dirigente del gruppo, ha ribadito ad AFP che il prolungamento della fase uno senza il rispetto degli accordi rappresenterebbe una violazione dell'intesa iniziale.
Intanto, l'8 marzo sarà una data chiave: Israele dovrà completare il ritiro dal corridoio Philadelphi, lungo il confine tra Gaza ed Egitto. Se non lo farà, violerà i termini dell'accordo e Hamas potrebbe rispondere con ritorsioni.
A complicare la situazione, Israele ha già bloccato l'accesso di aiuti umanitari e merci alla Striscia in risposta al rifiuto di Hamas di estendere il cessate il fuoco. Il futuro dell'accordo resta dunque incerto, con la comunità internazionale che monitora da vicino gli sviluppi e spera in un'intesa duratura per la pace nella regione.