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Nagorno-Karabakh: tregua “fragile” fra Armenia e Azerbaigian

Da Baku e Yerevan, in queste ore, accuse reciproche di violazioni del cessate il fuoco, entrato in vigore a mezzogiorno dopo un lungo round negoziale a Mosca

10 ott 2020

Gli airstrikes azeri, su obiettivi militari nella regione separatista, sono proseguiti fino alla mattinata di oggi. Un'opera sistematica di distruzione che avrebbe ridotto ai minimi termini le capacità di reazione delle forze armate del Nagorno-Karabakh, specie la componente contraerea. A mezzogiorno, poi, secondo quanto deciso nella notte a Mosca – dopo 10 ore di colloqui -, è scattata la tregua. Ad annunciarla il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, a testimonianza del ruolo decisivo, assunto dal Cremlino, nella ricerca di una via d'uscita politica a questo eterno braccio di ferro tra Baku e Yerevan. Il cessate il fuoco è dettato innanzitutto da ragioni umanitarie: scambio di prigionieri, dunque, e recupero delle salme dei caduti. Ma ciò che è più importante è l'impegno, dei due Paesi, ad avviare “colloqui sostanziali con lo scopo di raggiungere una soluzione pacifica il prima possibile”. E questo con la supervisione del Gruppo di Minsk, formato da Stati Uniti, Russia e Francia.

Le premesse, tuttavia, non sono delle migliori; perché le parti in causa si stanno già accusando a vicenda di violare gli accordi. Secondo il ministero della Difesa armeno, le truppe azere, già alle 12.05, avrebbero lanciato un attacco verso Karakhanbeyli. Mentre Baku parla di bombardamenti sui distretti di Terter e Agdam. Altro elemento potenzialmente di ostacolo, nella ricerca di una mediazione, è il forte supporto di Ankara al proprio alleato; proprio questo – secondo alcuni analisti – avrebbe indotto l'Azerbaigian a tentare di raggiungere il risultato atteso da anni: ovvero la ripresa del controllo sul Nagorno-Karabakh. Decisivo anche il ruolo della Russia, e non solo al tavolo negoziale. Qualora infatti la tregua fallisse, e fossero accertate azioni ostili delle forze azere in territorio armeno – e non solo in quello dell'autoproclamata Repubblica dell'Artsakh –, Mosca potrebbe intervenire militarmente in modo diretto al fianco di Yerevan: essendo quest'ultima membro dell'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva.


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