Crisi UE: dopo Brexit aumentano spinte centrifughe nei Paesi dell'Europa Centrale e dell'Est

Il 2 ottobre potrebbe essere un altro giorno cruciale per il futuro dell'Unione Europea. In Ungheria è stato ufficializzato che, in questa data, si terrà un referendum peraltro già ampiamente annunciato. Il tenore del quesito è piuttosto indicativo del grado di ostilità che Budapest nutre nei confronti delle politiche comunitarie. “Volete o no che l'Ue possa obbligarci ad accogliere in Ungheria, senza l'autorizzazione del Parlamento ungherese, il ricollocamento forzato di cittadini non ungheresi?”. Su questo saranno chiamati ad esprimersi gli elettori magiari. Un primo step – secondo vari analisti – di un definitivo addio a Bruxelles. E l'esempio ungherese potrebbe essere presto seguito dalle altre nazioni del cosiddetto Gruppo di Visegrad, che comprende anche Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca. Proprio il Presidente ceco Milos Zeman – del resto – nei giorni scorsi si era detto favorevole ad un eventuale referendum sull'uscita del suo Paese da Ue e Nato. Ma il 2 ottobre, con ogni probabilità, anche gli austriaci saranno chiamati alle urne, per la clamorosa ripetizione del ballottaggio delle elezioni presidenziali, che avevano visto perdere di un soffio il candidato della destra euro-scettica. Tutto questo mentre si rivelano sempre più infondate le previsioni catastrofiste sugli effetti immediati della Brexit sul Regno Unito. La Borsa di Londra, infatti, sta registrando le migliori performance, tra i Listini del Vecchio Continente. Un altro colpo all'establishment di Bruxelles potrebbe venire dal fronte dei trattati commerciali internazionali, peraltro duramente contestati da ampie fasce dell'opinione pubblica di vari Paesi. “Secondo me – ha affermato oggi il ministro italiano Calenda - il Ttip salta perché siamo arrivati troppo lunghi sulla negoziazione”.

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