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La Brexit sotto la lente di Michele Chiaruzzi su Treccani

1 nov 2019
La Brexit sotto la lente di Michele Chiaruzzi su Treccani

Sulla Treccani torna l'approfondimento di Michele Chiaruzzi, sul gioco politico della Brexit e la forza delle istituzioni democratiche. Di seguito il servizio.


Dopo il voto nel Parlamento di Westminster di martedì scorso, il Regno Unito sarà presto obbligato ad indicare alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, un candidato per il posto di Commissario dell’Unione Europea. Sarebbe obbligato, occorre dire. Perché, in realtà, il primo ministro Boris Johnson ha già dichiarato che non ne ha la minima intenzione. Il che è comprensibile: quella nomina sancirebbe platealmente che, di fatto, dopo quasi quattro anni di calvario politico autodistruttivo per lasciare l’Unione Europea, il Regno Unito non si è mosso dal punto di partenza, se non di poco e male. S’aggiunga che, in ogni caso, l’eventuale accordo finale tra Unione Europea e Regno Unito dovrebbe essere ratificato da tutti gli Stati membri, compresi i loro Parlamenti. Questo ipotetico percorso non solo prefigura perciò un tempo lungo e penoso, bensì gronda incertezza totale. Il fatto è che se anche uno solo non lo farà, se non ratificherà l’accordo finale, saremo daccapo. È chiaro ormai da tempo: la cosiddetta ‘Brexit’ ha assunto i contorni di un estenuante Gioco dell’oca, costellato di soste e retrocessioni. Il fallimentare gioco d’azzardo di Cameron diede avvio al primo, sconsiderato, lancio di dadi nel vuoto politico. I protagonisti d’Oltremanica credevano troppo, come spesso accade, alla propria intelligenza. Ma il Gioco dell’oca è un gioco della sorte, non d’intelligenza. Per questo il gioco politico della Brexit, sfortunatissimo, ha portato i conservatori inglesi dove tutte le caselle politiche hanno imposto finora soste e retrocessioni. La fortuna arriverà, dice qualcuno e ciò è ben possibile. Ma ormai non si tratta di considerare la fortuna perché, in realtà, la politica non è solo un gioco della sorte, ma anche d’intelligenza. È questo che i più spregiudicati tra i giocatori inglesi non hanno minimante inteso – o non hanno voluto intendere coi propri inconsistenti calcoli di bassa tattica personale. Hanno trascurato il fatto che le istituzioni liberaldemocratiche europee – comprese quelle degli Stati membri, incluso il Regno Unito – non sono esempi decrepiti di un passato decadente, ma realtà effettive di un presente persistente. Forse cedendo troppa intelligenza alla loro stessa retorica, i denigratori delle istituzioni europee hanno trascurato un fatto generale oggi meglio compreso: la più eclatante evidenza del processo politico detto ‘Brexit’ è di aver mostrato proprio la forza di queste istituzioni, a partire dal loro fulcro: il Parlamento. Non a caso è stato finora il Parlamento britannico il luogo cruciale nel quale si è arrestata la spinta verso la Brexit. Questo, si badi bene, non è un bene o un male: è un fatto. Proprio per questo, logicamente, il primo ministro Boris Johnson ha invocato e ottenuto nuove elezioni: per cambiare la composizione del Parlamento, constatata la sua insuperabile opposizione; ed è esattamente questo che capì, prima di lui, Theresa May, convocando a suo tempo, di fronte all’insuperabile attrito parlamentare, ‘nuove’ elezioni poi non vinte. Ma la storia, naturalmente, in politica non insegna. Il punto è che il calvario politico della Brexit – del quale l’ennesima proroga dovuta alla resistenza parlamentare sembra tutto tranne che un passo verso l’uscita – insegna alcune cose sullo stato attuale della democrazia liberale europea e ne esemplifica altre. Anzitutto insegna che essa, al contrario di ciò che affermano illustri capi di Stato, non è affatto finita perché finite non sono le sue istituzioni cardinali. Le quali, a ben vedere, oggi non sono solo nazionali, bensì sovranazionali, cioè europee, quindi più sviluppate e più coriacee per chi ne vuol tagliare i legamenti con colpi netti. Tali istituzioni non sono finite perché svolgono funzioni effettive ed efficaci. Di ciò si sono accorti coloro i quali hanno reclamato, in un modo o nell’altro, pieni poteri nell’Unione Europea, fallendo miseramente lo scopo. Le istituzioni delle liberaldemocrazie europee e della loro Unione sono, al tempo stesso, vincoli e opportunità per l’esercizio del potere politico. Vincoli perché imbrigliano il potere; opportunità perché, moderandolo, lo rendono più ragionevole. Se insegna qualcosa, la Brexit insegna che la democrazia rappresentativa, lungi dall’essere un arnese antipopolare, realizza semmai un processo politico nel quale non conta solo la decisione bensì la comprensione. Conta l’intendere compiutamente ciò che i decisori ultimi – i governanti – spesso vorrebbero occultare: costi e benefici di tali decisioni e dei loro presunti esiti per le persone, i governati. Insegna che l’equilibrio dei poteri non è uno strumento d’impaccio per le scelte presunte irreversibili da chi, ebbro di ego, le ritiene tali. Sono un metodo di bilanciamento delle ragioni che costringe a pensare prima di agire o, perlomeno, a ripensare dopo che si è agito senza pensare. Per questo il Gioco dell’oca della Brexit continuerà ancora, insegnandoci tante cose sulle nostre istituzioni. Magari che, se davvero esiste qualcosa d’irreversibile nel contesto politico europeo, forse lo sono proprio tali istituzioni.


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