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Previdenza: un sistema da riformare

27 ott 2004
Previdenza: un sistema da riformare
5 diversi tipi di pensione. Quella di vecchiaia, che viene elargita al termine della vita lavorativa, quella sociale – ribattezza delle casalinghe – perché viene corrisposta, una volta compiuti 65 anni, ai residenti che non hanno mai versato contributi, la pensione di invalidità quando questa supera il 50% del deficit fisico, la pensione superstiti che diventa reversibile quando il coniuge muore e la pensione privilegiata, corrisposta quando a causa di una malattia professionale o di infortunio sul lavoro si riporta una invalidità permanente, superiore al 15%.
Cifra fissa solo per la pensione minima che e’ di 842 euro al mese. Infatti la pensione di vecchiaia viene calcolata sulla media dello stipendio lordo percepito negli ultimi 5 anni di lavoro.
Ogni mese, dalla busta paga dei dipendenti , viene prelevata una percentuale pari all’11,9 destinata al fondo pensioni. L’1,6 e’ a carico del lavoratore, il 10,3 lo versa il datore di lavoro.
Ma quando si va in pensione? La legge varata tre anni fa stabilisce che tutti coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1 gennaio 2002 andranno in pensione a 65 anni. La regola vale per uomini e donne, per dipendenti pubblici e privati. L’età pensionabile per chi già lavora è invece fissata dal tipo di occupazione. Nel settore pubblico, i dipendenti in organico, usufruiscono della cosiddetta pensione di anzianità, pari a 35 anni di servizio. Si parte dal 21esimo anno di età e si può essere pensionati a 56 anni, con la possibilità di continuare fino a 60, dopodiché la pensione diventa obbligatoria. Se invece non ci sono i 35 anni di servizio si può lavorare fino ai 65.
Sempre nel settore pubblico, con contratto privatistico, l’età della pensione è fissata a 65 anni, qui l’eccezione riguarda gli integrativi –obbligati al pensionamento al 60esimo anno di età – e il corpo di polizia civile in pensione, obbligatoriamente, a 53 anni, mentre gli agenti di gendarmeria e guardia di rocca possono proseguire fino ai 60. Più semplice la situazione nel settore privato dove si va in pensione a 60 anni e si può decidere di continuare a lavorare fino a 65.
Oggi, a San Marino, è in vigore il sistema a ripartizione, un classico dei paesi dove esiste lo stato sociale. Nato nel dopoguerra, questo sistema solidaristico oggi è in crisi ovunque. Con i soldi che versano datori di lavoro e dipendenti si finanziano le pensioni, garantendo prestazioni piuttosto elevate. Il problema si presenta quando diminuiscono i lavoratori ed aumentano i pensionati. Oggi, sul Titano, il rapporto e’ di 4 a 1, anche se sta rapidamente scendendo. Il sindacato ha calcolato che, dal 2006, andranno in pensione diversi dirigenti dell’industria e numerosi funzionari pubblici, ai quali spetteranno prelievi consistenti. Insomma nulla gioca a favore della salute del fondo pensionistico. A ottobre di quest’anno, sono state pagate complessivamente, 8.242 pensioni.
Il deficit primario del fondo, vale a dire la differenza fra entrate e uscite, registra un rosso crescente: nel 2003 era di 4 milioni 483mila euro. Lo scoro anno e’ arrivato a 9 milioni 487 mila, la previsione di deficit per il 2005 e’ di 14 milioni 918mila euro. Il buco viene coperto, per legge, con i contributi figurativi, il trasferimento dall’attivo del fondo assegni famigliari e il concorso dello Stato. Questo permette non solo di raggiungere il pareggio ma di accantonare, come e’ avvenuto nel 2003, oltre 6 milioni di euro che vanno a formare il fondo di riserva. In questo fondo, a tutt’oggi, ci sono 161 milioni di euro, qualcosa come 300 miliardi delle vecchie lire che vengono investiti in pronti contro termine e nei Titano found, i fondi di investimento dello Stato.

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