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Commissione Finanze: l'intervento di Simone Celli

10 ott 2018
Commissione Finanze: l'intervento di Simone Celli
Il momento è stato scelto ad arte per inscenare l’ennesimo scontro.

Ce la potevamo risparmiare questa guerra che coinvolge la banca centrale, gli istituti bancari, la politica, la magistratura e persino le parti sociali. E’ in atto un “tutti contro tutti” che a mio modo di vedere non gioca a favore del Paese.

Non solo perché il Paese avrebbe bisogno di ritrovare coesione, politica e sociale, intorno a un chiaro progetto di cambiamento, risanamento e crescita.

Non solo perché si dovrebbe evitare di lacerare la ferita già dolorosa della crisi economica e finanziaria che segna la vita di migliaia di sammarinesi.

Ma soprattutto perché non c’è alcun motivo pratico per ingaggiare l’ennesimo duello a suon di ordinanze scritte sul filo di denunce fresche di deposito e che rilanciate da comunicati politici, post sui social, chiacchere nei bar, fanno già il conto dei colpevoli e delle pene esemplari da comminare.

Vista la complessità della situazione e alla luce degli ultimi accadimenti riguardanti la Banca centrale e più in generale il sistema finanziario sammarinese, ho ritenuto opportuno e doveroso promuovere un’audizione in questa Commissione Consiliare Permanente con il Consiglio Direttivo, il Collegio Sindacale e il Direttore Generale della Banca Centrale, che ringrazio per la loro disponibilità e la loro presenza.

Svolgo questo intervento prima di lasciare la parola al Presidente Tomasetti e ai membri della Commissione per lo svolgimento dell’audizione e per l’assunzione delle deliberazioni considerate necessarie.

Vi preannuncio che le parole che pronuncerò non saranno affatto improntate al “politicamente corretto”. Dirò ciò che penso, senza filtri, e lo farò senza voler offendere nessuno ma semplicemente con il desiderio di condividere con voi alcune riflessioni.

Sono franco.

Temo che si vada consolidando un metodo di governance all’interno di Banca Centrale basato sulla continua e ossessiva ricerca di un nemico da eliminare, il cattivo di turno, magari legato al potere forte e occulto fuori territorio. Il più alto in grado viene di volta in volta “silurato”, a suon di ordinanze, sebbene in esse nulla si dica di penalmente rilevante, ma è quanto basta per far saltare la testa. Certe strumentalizzazioni servono a creare un consenso effimero, per risollevare il morale di una parte politica che applaude fiduciosa, che si “stringe attorno” al giudice elevato a “eroe”.

Ma questa non è un modo sano di fare politica. C’è chi asseconda – anzi, ancor peggio, istiga - il rancore sociale, per accendere l’odio, la rivalità e per alimentare una tensione che frustra ogni velleità di cambiamento. Qualcuno sta mettendo gli uni contro gli altri, sta avverando la profezia di chi, alcuni mesi fa, aveva avvertito di esser pronta a scatenare la guerra se qualcuno l’avesse criticata, contrastata o messa da parte con danni che in ultima istanza pagheranno i cittadini.

Chi si attacca ad una indagine come se fosse una boa di salvataggio non sta aiutando il paese a trovare una rotta. C’è chi dice che sugli scaffali del giudice elevato al grado di “eroe” ci sono più di 500 procedimenti prescritti. C’è anche chi ha detto che il giudice elevato al grado di “eroe” non è stato in grado di completare alcuna indagine significativa. Sarebbe doverosa una spiegazione. Altrimenti si potrebbe alimentare il dubbio che vi siano convergenze con una parte politica o addirittura l’intento di coprire le difficoltà e la mancanza di risultati significativi nello svolgimento del proprio lavoro.

Si tratta, evidentemente, di falsità.

Come si può negare la puntualità cronometrica degli interventi giudiziari?

Prima di fare la perquisizione nella casa del Direttore Generale di Banca Centrale è passato un mese dal licenziamento di Savorelli, ma tale ritardo non è stato affatto irrilevante, perché, nel frattempo, era subentrato il nuovo Direttore Generale, il Dott. Raffaele Capuano che, così, a titolo di benvenuto, si è trovato la polizia giudiziaria dentro la porta di casa, che era stata “gentilmente” aperta dai suoi collaboratori di Banca Centrale. Se si voleva dare una lezione a un direttore generale, appena arrivato dopo aver ricoperto incarichi di alto livello in istituzioni italiane, che in pochi giorni aveva dato prova di grande capacità organizzativa, di dedizione e di contatti di elevatissimo livello, ebbene sì, ci siamo riusciti.

Non è andata tanto meglio al suo successore, l’Avv. Roberto Moretti arrivato in Banca Centrale appena in tempo per mangiare il panettone, con la missione di rilanciare l’istituzione dopo la “toccata e fuga” di Capuano, il licenziamento di Savorelli e le dimissioni di Mario Giannini dell’estate del 2015. Sul conto dell’ultimo ex Direttore Generale di Banca Centrale sono state fatte circolare anticipazioni – a questo punto direi particolarmente puntuali – su imminenti sviluppi processuali, attività che avrebbe svolto per ordire trame esterne e scelte organizzative interne che sono addirittura diventate argomento di discussione politica. Forse i trailer delle ultime settimane avevano alimentato una certa aspettativa, francamente però mi aspettavo di più in merito alle contestazioni rivolte all’avv. Roberto Moretti. Ad ogni modo, staremo a vedere, in attesa di fare da spettatori alla proiezione di una nuova puntata della telenovela a cui in tanti ultimamente sembrano aggrapparsi per favorire un inquietante “ritorno alle origini”.

Il tempismo è stato addirittura perfetto con le ultime due ordinanze.

La prima è stata notificata a Banca Centrale nel momento più giusto per far saltare la nomina del candidato naturale al ruolo di Direttore Generale. Il solito trafiletto-epitaffio presente nell’ordinanza è stato la miglior garanzia contro la nomina.

A me e ai miei colleghi di Governo, i massimi vertici di Banca Centrale, avevano riferito che il Dott. Raffaele Mazzeo era perfetto per svolgere un incarico che di fatto già esercitava da tempo, ma evidentemente sono stato preso e siamo stati presi in giro. Il progetto era evidentemente un altro e la conferma la si trova nel tempismo con cui ora, dopo l’ennesimo ribaltone, sono a capo della Banca Centrale esponenti della defunta Cassa di Risparmio di Ferrara che probabilmente frequentavano San Marino già nella calda primavera-estate del 2017, magari anch’essi arruolati come consulenti, ma con la differenza che per qualcuno la consulenza rappresenta un problema, per altri no.

Altrettanto puntuale la notifica a Cassa di Risparmio che è arrivata nell’imminenza dell’avvio delle azioni di responsabilità, chieste giustamente a gran voce dalla politica, dalle forze sindacali e dal Paese. Azioni che finalmente dovrebbero accertare la responsabilità di chi ha portato San Marino nell’attuale condizione e ancora opera indisturbato, orientando la stampa e vivendo in ville milionarie pagate con i soldi dei risparmiatori e su cui nessuno dice niente. A volte penso che siamo tutti un po’ strani: oggi si grida allo scandalo nei confronti di chi ha redatto e approvato un bilancio rigoroso e prudente, che in modo chiaro e trasparente ha fatto emergere il buco presente in una banca, mentre non si dice nulla di chi quel buco lo ha creato e di chi per anni quel buco lo ha sottaciuto e nascosto!.

Perché accade questo? Per paura? Per mancanza di conoscenza? Per omertà? Perché?

Siamo un paese in cui i banchieri e i loro accoliti, che con scelte sconsiderate hanno portato il sistema finanziario sull’orlo del baratro, sono ancora i guru che orientano scelte politiche e su cui nessuno vuole fare delle considerazioni sulle reali responsabilità – omettendo di dire i disastri che hanno arrecato, facendo finta di non accorgerci che c’è qualcuno che quotidianamente ci impartisce lezioni di finanza e che non più tardi di alcuni anni fa godeva nell’autodefinirsi “il Re del Nero”.

Sarà un caso tanta puntualità?

Anche gli orologi rotti segnano l’ora esatta due volte al giorno, ma qui sembra che gli ingranaggi siano tutti ben calibrati e che in questo periodo ci sia anche attivo un servizio postale di primordine con buste inviate contenenti dossier anonimi e fantomatici gruppi che esortano alla liberazione.

Liberazione da chi? Liberazione da che cosa?

Perché sin dal 2005, ma con una intensificazione degli eventi a dir poco sospetta negli ultimi 12 mesi, accade tutto questo in Banca centrale?

Non ho una risposta precisa, sicuramente mi sono fatto un’idea, però il problema è, adesso, che abbiamo molti sconfitti e nessun vincitore.

Perché il tentativo di cambiamento è stato combattuto in Banca Centrale a suon di restaurazione e da quanto si dice in giro in molti in questi giorni stanno stappando bottiglie e facendo strategie politiche sul day after e festeggiando la fuga di oscuri poteri forti sui quali però nessuno parla.

Se c’erano dubbi sulla refrattarietà al cambiamento di certe strutture, ultra pagate e ultra garantite, ora i dubbi sono stati fugati e il modo rocambolesco e timido su come l’istituzione ha azzerato Direzione Generale e Coordinamento della Vigilanza è un aspetto interessante nell’era della comunicazione.

La raccolta bancaria è ormai un terzo rispetto ai tempi d’oro della finanza, le finanziarie sono quasi sparite da cinquanta che erano, le banche sono solo cinque e Banca Centrale con i suoi misteri interni e le congiure, è lì splendida, ad abbellire lo skyline di via del Voltone con quasi 100 dipendenti e consulenti in aumento, un via e vai di auto a ogni ora del giorno e della notte con pittoreschi personaggi che passeggiano con sigari fumanti – saranno suggestioni di “savorelliana” memoria – lungo la strada. Tutto cambia per non cambiare nulla e, semmai qualcosa cambiasse davvero, sarebbe solo per lo spazio di un mattino, poi tanto tutto torna come prima. Il tempo non passa e le lancette procedono in senso inverso. Spiace doverlo dire, ma Banca Centrale è una multiforme e rissosa accozzaglia capace solo di dire no oppure in molti casi accaduti nel recente passato non parla, resta silente, aspetta come se non ci fosse un domani. Non è capace di avanzare una proposta, non ha un progetto. Non indica una strada, è solo un muro che sbarra ogni strada. Questo è il problema che abbiamo. Un paese sconfitto con un arbitro, Banca Centrale, che, anziché dirigere il gioco, vi partecipa in modo pesante, talvolta sleale, con una tentacolare penetrazione nei gangli che contano e con attori sempre nuovi che si mescolano a giocatori già esperti in un gioco che non ha portato nulla di buono.

Una cosa mi è chiara.

Certo non ho voluto crederci per troppo tempo, ma come negare la sinergica convergenza tra iniziative di Banca Centrale, azioni giudiziarie e proclami politici di opposizione? Leggendo certi provvedimenti, si riscontra il linguaggio della politica, talvolta le parole sono le stesse. Certe ordinanze sono veri e propri manifesti politici, in cui vengono individuati i buoni e i cattivi. Le azioni da intraprendere a favore degli uni e contro gli altri. Peccato che il contenuto sia stato anticipato o, comunque, coincida, con i diktat dell’opposizione: No alla vendita degli NPL, guai a chi tocca la famosa Asset Banca, mentre Fabio Zanotti, Marino Grandoni e altri individui, sono i nemici numero uno, i nemici da abbattere, anche fisicamente se serve.

Basterebbe leggere i post su facebook che, talvolta, sono meglio motivati di certi atti verbosi e fumosi, che producono un immediato effetto di ricoprirci di un diluvio di parole, immobilizzandoci con le chiacchiere.

A questo poi aggiungiamo anche il rumore silenzioso che in realtà una istituzione neutrale con funzioni di controllo e supervisione, non dovrebbe fare pervenire ai propri vigilati.

Tra le righe si legge una scommessa sul futuro del paese. Si scommette che San Marino non possa essere diverso da come è oggi e soprattutto da come era ieri, non sia in grado di modificare la sua struttura economica tradizionale, messa in crisi dalla competizione internazionale. Si pretende di riesumare il passato, col tintinnar di manette.

La crisi economica e finanziaria di San Marino non si risolve riportando in auge il vecchio, magari un vecchio che continuamente si proclama a tal punto diverso da voler convincere se stessi e gli altri di essere il nuovo che avanza.

Gridare contro tutti e tutto sembra una scelta facile e conveniente, anche premiante nel breve periodo, ma alla lunga è una via senza uscita. L’unico modo per risalire la china consiste nel migliorare le strutture portanti del sistema economico e finanziario, a partire dall’autorità di vigilanza.

Intendiamoci, c’è rabbia, c’è delusione, amarezza e tristezza in me, ma vorrei dire che preferisco il mio modo di fare politica.

Per cercare di fare comprendere a tutti che cosa sta realmente accadendo in questo ultimo periodo, voglio rendere edotti tutti voi di un episodio del quale sono stato involontario protagonista proprio poche ore fa, nel corso dell’Assemblea degli Azionisti di Cassa di Risparmio, in presenza di gran parte dei membri del Consiglio di Amministrazione, di tutti i membri del Collegio Sindacale e di alcuni alti funzionari della banca, tra cui il Direttore Generale. Un noto legale sammarinese, già Capitano Reggente, già membro del Consiglio Grande e Generale, conosciuto anche per la sua straordinaria passione per la caccia e il tiro a volo, durante una discussione effettivamente piuttosto accesa, questo va riconosciuto, riferendosi a me ha testualmente affermato – con toni e modalità minacciose – “A Lei ci penserà Morsiani” e, dopo un ulteriore scambio di battute, ha addirittura profetizzato senza troppi giri di parole – ma lo si sa, questo avvocato ha una lingua biforcuta e talvolta difficilmente controllabile –, che a breve io dovrò esercitare un diritto costituzionalmente garantito, essendo evidente il riferimento al diritto alla difesa.

Come fa a sapere questo individuo che a breve sarò sottoposto a indagini giudiziarie?

Come può questo individuo conoscere in anticipo sviluppi legati all’attività, peraltro vincolata al segreto istruttorio, dell’Autorità Giudiziaria?

E’ normale che ciò possa accadere? Non credo proprio. C’è qualcosa che non torna. Va fatta chiarezza.

Per queste ragioni, proprio alcuni minuti fa ho presentato una denuncia presso le autorità competenti e auspico che al più presto possa essere fatta emergere la verità su una vicenda che considero a dir poco inquietante.

Andare contro qualcuno è molto facile, fare politica per costruire qualcosa è decisamente più difficile. Credo nel futuro di San Marino, credo nelle enormi potenzialità delle risorse umane e materiali della nostra comunità, e per questo credo sia doveroso, anzi indispensabile, dare corso al cambiamento, anche assumendo scelte radicali come ha provato a fare questo governo sin dal suo insediamento, magari facendo anche qualche errore. Perché questa possibilità si realizzi, l’unica chance è superare le secche in cui qualcuno di facilmente individuabile vuole spingere il Paese. Non possiamo limitarci a una lotta di sopravvivenza. Dobbiamo essere convincenti, rivitalizzare l’azione di governo. Replicare coi fatti alle strane convergenze istituzionali-politico-giudiziarie.

Per queste ragioni la mia esperienza di governo finisce qui.

E finisce senza rimorsi o rimpianti.

Finisce con la consapevolezza di chi ce l’ha messa veramente tutta per portare avanti un progetto di risanamento, consolidamento e rilancio del settore finanziario sammarinese e per conquistare, anche adottando decisioni piuttosto impopolari, l’equilibrio del bilancio dello Stato.

Finisce con l’orgoglio di aver visto riconosciuto, da parte del Fondo Monetario Internazionale, lo sforzo verso l’identificazione delle persistenti criticità del settore creditizio, per troppo sottovalutate o ancor peggio volutamente nascoste, come avvenuto specialmente nel caso di Cassa di Risparmio.

Finisce con la serenità di chi sa di aver compiuto anche degli errori, ma al contempo sa di avere sempre agito per salvaguardare gli interessi dei propri concittadini, senza se e senza ma.

Chi fa politica sa che c’è un prezzo da pagare, talvolta molto alto a livello personale, ma quanto è avvenuto negli ultimi mesi mi ha indotto a prendere una decisione definitiva che oggi voglio anticipare nella sede della democrazia del mio Paese e che formalizzerò ufficialmente agli Eccellentissimi Capitani Reggenti nella giornata di lunedì 15 ottobre prossimo, così da poter permettere al Consiglio Grande e Generale di nominare il nuovo Segretario di Stato per le Finanze e Bilancio già nella sessione consiliare del mese di ottobre.

Penso di aver agito con convinzione e passione, ma certamente non ho vinto. Anzi, non ho alcun problema a riconoscere la sconfitta.

Credo che per cambiare questo sistema, in cui le persone sono sempre le stesse, io non possa far finta di niente, e rimanere incollato ad un ruolo che non ho chiesto ma ho avuto grazie alla maggioranza di Adesso.sm che mi ha sempre sostenuto con lealtà e correttezza e grazie a un progetto politico nato per il cambiamento e per chiudere un’epoca nera per il sistema finanziario.
Si illudono però coloro che confidano nel mio sconforto, coloro che credono che le ferite sul piano personale e politico possano essere determinanti per farmi cambiare idea e percorso.

Lo sapevo che il momento non era rassicurante per assumere responsabilità di governo e in particolare per diventare il Segretario di Stato per le Finanze e Bilancio. Lo sapevamo che nello sfidare l’ordinaria immobilità di certe strutture e di certi contesti, si corre il rischio di rimanere impigliati in una rete di cattiverie.

Non sono uso al vittimismo, ma come fingere di non aver visto che nei miei confronti, da prima delle elezioni, era iniziato un vero e proprio tiro al bersaglio, un’autentica ossessione che mi vedeva additato come responsabile di qualunque cosa.

Sono stato macellato sul piano politico e personale.

Io ho resistito a tutto questo, con la certezza e la forza delle mie idee e della mia visione di futuro, col convincimento, forse ingenuo, che col tempo, col dialogo e il confronto, anche acceso, si potessero, magari non superare, ma almeno attenuare i contrasti. Ero convinto e resto convinto che la politica sia passione e che questa passione si debba alimentare con la fiducia nel confronto aperto, democratico, a volte animato, ma sempre leale, corretto e rispettoso delle posizioni altrui.

Se per delegittimare un rappresentante delle Istituzioni bastano due righe di un’ordinanza in cui tutti dicono compaia il mio nome in cui, per verità, nulla mi si addebita, ma anzi si dice che nulla emerge contro il sottoscritto, allora si impone una riflessione.

L’integrità morale e politica non vale nulla, se il Consiglio Grande e Generale da luogo di confronto democratico diventa il palcoscenico destinato alla recita di un gruppetto violento, che confonde la tipica azione politica, con l’illegalità penale, con argomenti volutamente distorti travisando realtà e diritto pur di screditare l’avversario.

Ho resistito, fermo nelle mie convinzioni, a tutte le artificiose illazioni contro di me, contro la mia dignità personale e politica con l’intento dichiarato di creare sconforto e di condurmi alla resa.

Ora però, è la prima volta e lo confesso, sono molto preoccupato. Ho paura. Non per me, sia chiaro, ma per il Paese. Un giudice che fa continui endorsement a questa o a quella forza politica, incrina il concetto stesso di indipendenza della magistratura.

Le ordinanze sono diventate programmatiche. Non si può interpretare diversamente la preannunciata soluzione di cause ancora sotto il vaglio del giudice amministrativo. Il giudice penale parla a nome del collega e ne anticipa le decisioni. Dice che i provvedimenti sono carenti di motivazione. Insomma, preannuncia conclusioni proprie e altrui. Vuole apparire il centro decisionale, con poteri strabordanti, e travalicare i limiti della propria competenza.

Ho resistito finché il combattimento è stato alla pari, fatto dalla politica con gli strumenti della politica. In tale ambito gli attacchi sono sempre previsti o prevedibili. Ma come accettare che la politica venga fatta sulla carta intestata del Tribunale. Questo sbarramento di fuoco non era previsto e non era prevedibile, almeno da parte mia.

Come potevo pensare che a sparare sarebbero state le istituzioni “neutrali”, scese ormai in campo in modo più che evidente?

Oggi tocca a me, trarre le conseguenze definitive in modo chiaro, evitando le ipocrisie o i giri di parole di cui la politica è spesso infarcita.

Non accetto il ricatto che si possa far saltare per aria una banca, dando corso ad una volontà legittimamente assunta dal proprio consiglio di amministrazione.

Non accetto che, attraverso l’accusa agli amministratori di non aver usato sufficiente acume critico (a fronte di perizie di società internazionali di altissimo livello), si possano paventare fantomatiche ed irrealistiche responsabilità penali.

Non accetto che un progetto politico nato per il cambiamento sia messo a repentaglio da chi il cambiamento non lo vuole e anzi spinge per andare verso una anarchia preordinata in cui si potrebbero instaurarsi scenari inquietanti per il Paese.

Occorre una reazione ferrea. Chiedo di agire prontamente perché si faccia chiarezza e si prosegua nell’azione avviata. Non possono bastare alcuni condizionali per interrompere il percorso avviato.

Certo, bisogna dare nuovo impulso all’azione di governo e perciò lascio a qualcun altro, più sereno e più fresco di me, il ruolo di Segretario di Stato per le Finanze e Bilancio, per spuntare le armi di una cattiva politica che fa dell’insulto personale uno strumento di contrapposizione e affermazione e della minaccia – talvolta anche fisica – uno strumento di pressione e di azione per vincere anche quando le regole democratiche hanno sancito un risultato diverso.

Ora le forze di opposizione e, aggiungo, anche le parti sociali non hanno più alibi. Se veramente intendono fornire il loro contributo in termini di idee e proposte per assicurare una prospettiva seria e credibile alla comunità sammarinese, è giunto il momento di dimostrarlo, in modo trasparente, leale, corretto e rispettoso dei ruoli. L’orco, infatti, tra pochi giorni non sarà più membro di governo.

Se tutto ciò accadesse, ne sarei pienamente soddisfatto, perché significherebbe che il mio passo indietro ha avuto un senso.

San Marino, lì 10 ottobre 2018

Simone Celli

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