14 anni senza Marco Pantani

Chi proprio non riesce a non far di conto dice che sono passati 14 anni. Potrebbero essere 100 come un giorno, ma che senso ha scandire il passare del tempo per ospitare ricostruzioni e ipotesi più o meno verosimili o fantasiose sull'ultimo 14 febbraio del campione? E quella rincorsa affannosa all'ultimo spacciatore senza essersi premuniti magari a suo tempo di aver preso il primo. Forse Marco sarebbe ancora con noi. Resta quello che ha lasciato in pochi anni nel cuore di ogni tifoso. Perchè il gesto tecnico va oltre il risultato, l'emozione trascende l'almanacco. Ha vinto in carriera, Marco, quanto ad esempio Merckx vinceva in un anno soltanto. E più dei trionfi resta la gestualità, i segni quasi tribali della battaglia. Il cappellino gettato via accendeva il popolo prima di ogni attacco. Sempre in montagna, sempre cattivo, sempre per abbreviare l'agonia. "Un samurai che fa saltare gli altri" scriveva di lui un Gianni Mura che si commuove da Gianni Mura. La sua pedalata strappata a spianare tornanti e incendiare l'asfalto piaceva anche ai francesi che quel Pantanì un po' se lo intenstavano, quello scalatore di Cesenatico che però aveva i nonni di Sarsina e quindi un po' di montagna del sangue. Avvelenato e appesantito da un fine vita alla Baudelaire. Alle Procure che indagano o indagavano, alle curiosità morbose, alle leggende metropoline, meglio il ricordo di un campione in bicicletta, un brutto giorno romagnolmente disperso.

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