Adios Spagna: due anni di rivoluzione buttati al vento

Sali sul carro, scendi dal carro. Il giochino preferito nel mondo del calcio oggi prende di mira la Spagna, arrivata in Russia da favorita e cacciata dalla stessa Russia presto, troppo presto, già agli ottavi. Come a Euro 2016, mentre al Mondiale 2014 furono fatali addirittura i gironi. Perciò è sbagliato parlare di fine del ciclo del tiqui taqua, del tramonto della generazione d'oro che s'è portata a casa, in quattro anni, due Europei e un titolo iridato. Era tutto finito già in Brasile. Lì non c'era più Puyol, e lì finirono tanti altri pilastri: Xabi Alonso, Torres, Villa e soprattutto Xavi, deus ex machina, al pari di Messi e Iniesta, del calcio alla blaugrana.

Senza Xavi era rimasto solo uno sterile possesso palla fine a se stesso, facilmente castigato dalla pragmatica Italia di Conte a Euro2016. Poi arrivò Lopetegui e già lì fu rivoluzione, rivoluzione al sapor di risorgimento: due anni senza ko e Spagna di nuovo favorita, ma solo fino alla vigilia. Perché Lopetegui fa il furbo, rinnova e poi firma col Real Madrid, venendo subito liquidato. E dopo la rivoluzione ecco la restaurazione di Hierro, che CT non è e opta per il ritorno al tiqui taqua, che però, come detto, senza Xavi è quasi nulla. Cancellati due anni di progressi, si deve ripartire: degli antichi eroi saluta Iniesta, forse Piquè e Silva, non Sergio Ramos. E chissà De Gea, criticatissimo ma in teoria troppo giovane per salutare. Giovane come Saul, Asensio, Isco: a continuare, con loro, la rivoluzione di Lopetegui potrebbe essere uno tra Luis Enrique e Quique Sanchez Flores.

RM

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