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Uno di Noi: Indi una di noi

14 nov 2023
Uno di Noi: Indi una di noi

“[…] la vita di Indi è finita alle 01.45. Io e Claire siamo arrabbiati, affranti e pieni di vergogna. I servizi sanitari e i tribunali non solo le hanno tolto la dignità di vivere, ma le hanno tolto anche la dignità di morire nella casa di famiglia. Sono riusciti a prendere il corpo e la dignità di Indi, ma non potranno mai prendere la sua anima. Hanno cercato di sbarazzarsi di Indi senza che nessuno lo sapesse, ma noi ci siamo assicurati che sarebbe stata ricordata per sempre. Sapevo che era speciale fin dal giorno in cui è nata”. Queste parole scritte dal papà di Indi Gregory non possono che creare un tremendo strazio in chiunque le legge. I genitori di Indi hanno fatto di tutto per salvare la vita della loro bambina di appena 8 mesi, “rea” di essere affetta da una gravissima malattia inguaribile. La bambina ha anche ricevuto d’urgenza la cittadinanza italiana, perché si potesse applicare la Convenzione dell’Aja e perché la stessa venisse accolta dall’Ospedale del Bambin Gesù di Roma, che aveva dato la disponibilità ad offrirle cure mediche. I medici di detto Ospedale, autorevoli almeno quanto quelli inglesi, erano infatti convinti che, seppur affetta da una malattia inguaribile, Indi avesse il diritto ad essere curata e ad essere accompagnata con cure palliative, pur senza sconfinare e cadere nell’accanimento terapeutico. Ma nulla è servito, i giudici inglesi hanno opposto un muro invalicabile e deciso per l’”abbandono terapeutico”, decretando quindi la morte di Indi. Si, perché nella civilissima Inghilterra quando dei genitori chiedono di avere altri pareri medici o di avere la possibilità di curare diversamente il proprio figlio afflitto da gravi malattie interviene di norma il tribunale che decide in ordine al “miglior interesse” del minore. E abbiamo visto in che cosa si sia sostanziato questo principio nel caso concreto: per decisione del tribunale a Indi sono stati rimossi i supporti vitali. Avete letto bene, i supporti vitali, cioè la somministrazione meccanica di acqua, aria e cibo ad una paziente, che senza tali supporti muore di fame d’aria, di fame d’acqua o di fame di cibo. Indi Gregory, scortata dalla polizia in un hospice, è morta per soffocamento tra le braccia della sua mamma. Non le è stato concesso neppure di morire a casa sua. Ma come si può pensare che il miglior interesse di una bambina sia morire, invece di vivere? E perdipiù morire per soffocamento! La morte di Indi è una sconfitta per l’umanità intera, per la scienza, per la cultura, per la civiltà, per tutti noi. Purtroppo non è la prima e non sarà l’ultima. Prima di lei, hanno subito la medesima sorte Alfie, Charlie, Isaiah, bambini considerati dal sistema giuridico e medico non utili per la società perché malati e inguaribili, quindi non degni di vivere. Il sistema giudiziario inglese è per molti un modello. Ma evidentemente, come ha dichiarato in questi giorni sui social uno dei legali della famiglia Gregory, Avv. Simone Pillon, quando si pensa di aver raggiunto la perfezione del diritto in realtà si raggiunge la perfezione dell’ingiustizia. Già i latini lo sapevano e lo avevano espresso con la massima summum ius, summa iniuria. Si è raggiunto l’assurdo e questo assurdo è figlio di una logica artefatta che porta a sovvertire il bene chiamandolo male, e viceversa. I genitori di Indi sono stati accusati sui social di voler il male della propria figlia perché avrebbero permesso che si dilungasse il suo respirare in mezzo a sofferenze solo presunte invece che morire soffocata. Perché il soffocamento è stato ritenuto il suo “miglior interesse”. Quello che è accaduto in Inghilterra può accadere anche in altri Paesi c.d. civili, nei quali si sta cercando sempre più di far passare il principio utilitaristico che la vita sia degna o invece indegna di essere vissuta in base a decisioni di chi ritiene di avere il potere di decidere sulla vita altrui. Tutto questo male e tutte queste terribili menzogne, come l’aborto e l’eutanasia, vogliono far pensare che si possa impunemente eliminare la vita di altri o ogni “scarto” ritenuto ormai inutile dalla società. Insieme a chi crede ancora che la vita sia SEMPRE da difendere, dal suo concepimento al suo naturale termine, continueremo a lottare anche nel tuo nome, Indi, e a batterci per contrastare questa folle deriva eutanasica.

Comunicato stampa
Uno di Noi





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