Come una goccia nel deserto. Questa mattina l'apertura del valico di Rafah, più volte annunciata e sistematicamente rimandata. Questione di poco, però; giusto il tempo di trasbordare merci e medicinali dai 20 tir egiziani – in attesa da tempo –, ai camion già presenti sul lato palestinese. Poi di nuovo cancelli sbarrati, e nessun passaggio di persone previsto. Davvero troppo poco per far fronte alla catastrofe umanitaria di Gaza. Dove in due settimane di bombardamenti, fa sapere UNICEF, avrebbero perso la vita oltre 1.600 bambini. Confermata anche la morte di almeno 17 dipendenti dell'Agenzia per i rifugiati palestinesi.
Dalle Nazioni Unite un appello: che “il primo convoglio” non sia “anche l'ultimo”. Fuori dall'inferno dell'enclave invece madre e figlia con cittadinanza anche statunitense. Cosa abbia indotto Hamas a rilasciare i due ostaggi resta al momento ignoto. Comunque una buona notizia; seppure altre 210 famiglie – stando ai numeri diffusi da Tsahal – stiano vivendo la peggiore delle angosce. Con la prospettiva del caos che potrebbe generarsi da una eventuale operazione israeliana di terra.
Sentito dai giornalisti pareva che Biden avesse sollecitato un posticipo dell'invasione, fino alla liberazione di altri ostaggi. Ma in una successiva nota della Casa Bianca è stato corretto il tiro; “ha sentito male la domanda”. E ciò mentre si susseguono indiscrezioni relative alla recente visita del Presidente nello Stato Ebraico. Insieme a Blinken – riferisce il New York Times – avrebbe “privatamente” esortato i vertici israeliani ad evitare attacchi pesanti contro Hezbollah; temendo evidentemente l'innesco di un conflitto su scala regionale, che porterebbe forse ad un coinvolgimento diretto della superpotenza.
Sul campo intanto poche novità; se i quotidiani raid aerei su Gaza e lo stillicidio di razzi lanciati contro Israele. Quasi 7.000 – è stato detto – fino ad ora; buona parte dei quali nelle prime ore della sanguinosa offensiva di Hamas del 7 ottobre.