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Violenza sessuale e stupri di gruppo: come si può affrontare il tema con i ragazzi

La dottoressa Rosita Guidi, psicologa scolastica a San Marino, sottolinea che l'educazione al rispetto e alla parità di genere fin da piccoli sono la base per evitare di arrivare a questo tipo di comportamenti

di Angela Giuccioli
30 ago 2023
Nel riquadro: Rosita Guidi, psicologa scolastica a San Marino
Nel riquadro: Rosita Guidi, psicologa scolastica a San Marino

Lo stupro di gruppo avvenuto a Palermo e le violenze perpetrate su due cugine a Caivano stanno riempiendo le pagine dei giornali, le bacheche dei social e i palinsesti televisivi. Fatti di cronaca così cruenti attirano una forte attenzione: si ricostruisce la vicenda, si va alla ricerca dei protagonisti, si scende nei dettagli, nelle chat piene di terribili commenti: ci si interroga sul perchè, su quale sia la cultura (o piuttosto la mancanza di cultura) che spinge ad agire una violenza così pervasiva. Sono infinite le domande che ciascuno, dentro di sé, si pone davanti ad uno stupro. Ma quando si ha un ruolo educativo, se si è genitori, insegnanti, figure che hanno a che fare con ragazzi e bambini, come possiamo “raccontare” o “spiegare” una violenza così efferata. E ancora prima, dobbiamo farlo? Abbiamo intervistato la dottoressa Rosita Guidi, psicologa scolastica a San Marino, che ci ha guidato nell'affrontare un tema così delicato.

Dottoressa, partiamo quindi dal principio: è bene affrontare tematiche caratterizzate da una profonda violenza con i ragazzi?

La risposta è assolutamente sì. Anche se la prima reazione davanti a tanta violenza perpetrata contro delle giovani ragazze è la negazione, dobbiamo invece evitare di fare finta di niente. Capita anche agli adulti di volersi voltare dall'altra parte, non volere affrontare quel nodo allo stomaco che certe storie creano, ma è invece lì che bisogna entrare in relazione. Non è facile, certamente, ma i giovani ascoltano e sono assolutamente recettivi. Prima di affrontare l'argomento è bene che l'adulto stesso lo abbia digerito, che sia guida nel dialogo con il ragazzo e che sia pronto a rispondere a domande, a volte anche scomode. Considerato che già dalla prima media la maggior parte dei ragazzi ha uno smartphone personale, sono probabilmente entrati in autonomia in contatto con questa vicenda. È bene quindi parlarne con loro, aiutarli a comprendere la violenza che ragazzi possono perpetrare verso loro coetanei. Lasciarli soli nell'elaborazione pone il rischio che si diano risposte parziali, non adeguate: l'adulto, il genitore in particolare, che conosce bene il proprio figlio, sa quali saranno le parole migliori per aiutarlo a capire, per rispondere ai suoi dubbi. Occorre utilizzare un linguaggio semplice, chiaro, il più possibile privo di pregiudizi e giudizi sulla vittima, ma anche su chi ha commesso il reato. Se evitiamo di parlarne, già lì innestiamo parte del problema: il confronto, l'approfondimento, l'ascolto reciproco ci aiutano a riconoscere il fenomeno.

Parlando di queste terribili vicende viene da chiedersi su cosa famiglia, ma anche scuola, devono insistere?

Il ruolo educativo, della famiglia e della scuola, non deve essere di prevenzione terziaria (quando il fatto è già avvenuto), ma è necessario lavorare su quella primaria, per evitare di arrivare a raccontare queste notizie di cronaca. È fondamentale un lavoro di educazione all'affettività, al rispetto e alla libertà di poter essere ciò che si sceglie. Altrettanto importante è l'educazione alla parità di genere e l'approfondimento sulla tematica della violenza nelle sue forme e nelle sue manifestazioni. Se ne deve parlare sempre, a scuola e in famiglia, in modo continuativo, non deve essere la cronaca a dettare l'agenda di questi temi. La violenza sulle donne è oggettivamente maggiore, quindi si deve insistere sulla parità di genere e sull'abbattimento degli stereotipi: va insegnato il diritto a dire no e ad accettare il no come risposta. Il pregiudizio è radicato in moltissimi modelli sociali: la scuola, anche con bambini molto piccoli, interviene per fare apprendere comportamenti prosociali attraverso attività ludiche, laboratori tematici, momenti di approfondimento e istituendo punti di ascolto, ma la famiglia resta il luogo primario in cui, ogni giorno, soprattutto attraverso l'esempio, si possono insegnare i valori della presenza, dell'amore incondizionato e del rispetto, fondamentali per sradicare i preconcetti. È necessario lavorare sempre sulla prevenzione e sull'educazione: il senso dell'altro, il rispetto, il riconoscimento delle differenze sono gli elementi alla base della tolleranza.

Quando è bene partire in casa per affrontare queste tematiche?

Questo lavoro deve partire fin dai primi anni di vita, non aspettare che i figli siano adolescenti: va usato un linguaggio chiaro su cosa sia giusto o sbagliato, sul rispetto dell'altro, sul riconoscere le caratteristiche che ognuno ha e sulla loro accettazione attraverso modalità adatte allo sviluppo cronologico e cognitivo del figlio. Da piccoli ci sono i giochi, è necessario utilizzare linguaggi adeguati. Mano a mano che il figlio cresce bisogna sempre di più ampliare il concetto, davanti ai rischi della vita. Non per instillare un clima di terrore, ma per per spiegare che il pericolo esiste. Non è una novità, c'è sempre stato, ora la connotazione è soltanto più amplificata. Mettere in guardia gli adolescenti quando escono di casa, significa dover con loro anche affrontare il tema: per dare raccomandazioni bisogna spiegare il fenomeno. L'obiettivo finale è che ciascun individuo tiri fuori le proprie risorse per riconoscere ed affrontare al meglio le situazioni.

Per concludere, una persona vittima di violenza, cosa è bene che faccia?

Chiedere aiuto subito. Questa è la massima e continua raccomandazione che mi sento di fare. Non provare vergogna. La mentalità per cui una donna “può essersela andata a cercare” è talmente permeata nella cultura, che le vittime stesse di violenza si chiedono se non avrebbero potuto comportarsi diversamente, se magari con un altro vestiario o un altro atteggiamento avrebbero potuto evitare di trovarsi in quella situazione. Questo circolo di pensiero deve essere distrutto. Il diritto a vestirsi come si vuole e a dire no deve essere chiaro. Una importante responsabilità ce l'hanno anche i giornalisti che raccontano queste vicende: soffermarsi sui dettagli come il vestiario, l'ubriachezza, tende a gettare un pregiudizio sulla colpa della vittima. I fatti vengono poi così profondamente sviscerati sui giornali, che la vittima diventa vittima due volte. In caso si subisca una violenza, qualsiasi tipo di violenza, ci si deve rivolgere a professionisti che aiutino ad elaborare quanto avvenuto per superarlo. Anche in questo caso la famiglia deve avere un ruolo di sostegno e mai di giudizio. La giustizia poi dovrebbe fare il suo corso perché avere e trovare giustizia è importante per chi è stato oggetto di violenze.





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