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Come vivere a lungo e in salute, i suggerimenti dell'esperto mondiale di anti-aging

5 dic 2020
Professor Luigi Fontana
Professor Luigi Fontana

Vivere a lungo, invecchiando bene è possibile. Uno dei massimi esperti mondiali di strategie anti-aging, basate sulla dieta e sull’esercizio fisico è il professor Luigi Fontana – Direttore dell’Healthy Longevity Program Charles Perkins Centre, Università di Sidney - che ha tenuto la lettura magistrale del 28° congresso nazionale della Società Italiana di Diabetologia (SID). Il Prof. Luigi Fontana ha spiegato in particolare come agire contro le patologie più comuni e l’invecchiamento:

PERCHÈ INVECCHIARE MALE COSTA
Invecchiare male costa, sia in termini umani, per i diretti interessati, che allo Stato per l’aumento della spesa legata alle patologie croniche, ai ricoveri e ai farmaci. E con la prospettiva di un invecchiamento progressivo della popolazione (si stima che nel 2050, 1 italiano su 3 avrà più di 65 anni) la prevenzione è quanto mai importante e attuale. 

IL SOVRAPPESO COME FATTORE DI RISCHIO
Il sovrappeso/obesità rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio. Soprattutto l’obesità viscerale (addominale) si associa a fattori di rischio cardio-metabolici quali diabete di tipo 2, infiammazione, dislipidemia, ipertensione, scompenso cardiaco, ictus, demenza vascolare, ma anche a NASH (steatoepatite non alcolica) e ad una serie di tumori (colon, mammella, utero, rene, esofago, pancreas, fegato). Bisogna ricordare che anche dormire male, poco e in modo frammentato ha un effetto potentissimo nel modulare il rischio di obesità, attraverso la modificazione della leptina e della ghrelina.

LE PATOLOGIE E L’INVECCHIAMENTO NON INIZIANO A 65 ANNI
Le più comuni patologie croniche condividono un substrato metabolico-molecolare comune: molti dei fattori metabolici-molecolari che sottendono l’insorgenza delle più comuni forme di cancro, in qualche maniera hanno a che fare con il fegato grasso, con la demenza vascolare e probabilmente con l’Alzheimer, con lo scompenso cardiaco, con l’infarto, con la nefropatia diabetica ipertensiva e tante altre patologie. E questo pabulum metabolico-molecolare può essere modificato in maniera importante dagli stili di vita (dieta, fumo, attività fisica, stress). E’ importante capire che le patologie e l’invecchiamento non iniziano a 65 anni. L’accumulo metabolico-molecolare di danno inizia in utero e forse addirittura prima del concepimento. Gli stili di vita dei genitori possono modificare il cosiddetto epigenoma (cioè come i nostri geni vengono ‘letti’, non il loro contenuto). E’ dunque necessario intervenire fin da prima del concepimento per rallentare l’accumulo del danno metabolico molecolare. La parola d’ordine dunque è agire sulle vie di segnale dell’invecchiamento, per passare dall’approccio disease-centered, insostenibile economicamente, a quello prevention-centered, basato sulla prescrizione personalizzata di interventi mirati che blocchino o a rallentino l’accumulo del danno metabolico-molecolare. Le vie di segnale dell’invecchiamento possono essere inibite efficacemente attraverso la dieta e l’attività fisica.

I BENEFICI DELL’ATTIVITÀ FISICA CONTRO L’INVECCHIAMENTO
L’attività fisica è un ‘farmaco’ potentissimo per migliorare la sensibilità all’insulina, perché con l’attività fisica si riduce il grasso viscerale e aumentano numero e attività dei mitocondri nel sistema muscolo- scheletrico. Questo permette di aumentare il VO 2 max, ovvero il consumo di ossigeno durante attività fisica. Un atleta ben allenato ha una VO 2 max di 5 litri/minuto, cioè consuma 5 litri di ossigeno al minuto. Una persona sedentaria invece ha una VO 2 max di 1,6 L/min. Questo significa che un atleta brucia 1.080 Kcal/ora, mentre una persona sedentaria ne brucia appena 360, perché ha meno mitocondri e quelli presenti sono meno attivati. Oltre all’effetto sulle vie anti-invecchiamento, l’attività fisica regolare aumenta l’HDL, riduce i trigliceridi, la pressione, l’insulina, l’infiammazione. L’attività fisica ‘nutre’ il cervello. Un anno di attività fisica in persone di 50-80 anni comporta un aumento del 2% del volume dell’ippocampo, struttura importantissima per la memoria.

I BENEFICI DELLA RESTRIZIONE CALORICA
L’attività fisica non è un sostituito di una buona alimentazione. L’attività fisica aumenta l’aspettativa di vita media, ma non quella totale (gli animali sono più sani, ma non vivono più a lungo), mentre la restrizione calorica non solo rende gli animali più sani (molte delle patologie croniche sono o prevenute o rallentate), ma li fa anche vivere più a lungo. La restrizione calorica senza malnutrizione è uno degli interventi più studiati per capire come funziona l’invecchiamento. Esperimenti su modelli animali (topi e scimmie) hanno dimostrato che la restrizione calorica riduce del 50% il rischio di cancro e di malattie cardiovascolari, oltre a prevenire il diabete di tipo 2; riduce inoltre atrofia cerebrale, gliosi, sarcopenia e fragilità. Un altro studio ha dimostrato che il 30% delle scimmie in restrizione calorica vive più di 40 anni (che per una Rhesus monkey corrispondono a 120 anni nell’uomo). Lo studio di Adams pubblicato sul NEJM (2007) ha dimostrato che i pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica mostrano una riduzione del 92% di diabete, del 56% di infarto, del 60% di cancro. Le persone che fanno restrizione calorica e attività fisica insomma hanno un profilo cardiometabolico di un ragazzino di 15 anni. E questo è importante perché le patologie cardiovascolari sono la prima causa di morte nei paesi occidentali, compresa l’Italia. Tante patologie sono in gran parte prevenibili. A tavola. Le persone sottoposte a restrizione calorica hanno un cuore più ‘giovane’, meno fibrotico e con un minor deterioramento della variabilità della frequenza cardiaca. Se mangiamo troppo e non facciamo attività fisica, accumuliamo grasso, che causa insulino- resistenza (IR), infiammazione, stress ossidativo, infiammazione. 

LA MIGLIORE DIETA ANTI-INVECCHIAMENTO
No alle diete iperproteiche e agli ‘aminoacidi da palestra’. Quando ho cominciato a studiare la restrizione calorica 20 anni fa, il dogma era che solo le calorie erano importanti e che la composizione della dieta era irrilevante. Ma negli ultimi anni abbiamo scoperto che non è vero. Quello che mangiamo va a modificare il microbioma intestinale, che a sua volta modifica il sistema immunitario. Un nostro recente studio pubblicato su Cell Reports dimostra che la riduzione delle calorie dalle proteine e in particolare dagli aminoacidi a catena ramificata, migliora l’insulino-sensibilità, la tolleranza al glucosio e la salute metabolica. Un qualcosa da far presente a chi assume questi aminoacidi come supplementi per la palestra. Un altro studio (Smith, 2016 Cell Reports) ha valutato due gruppi di donne obese messe a dieta per perdere il 10% del peso corporeo, un gruppo con dieta iperproteica, l’altro con dieta normoproteica (0,8 gr/Kg peso corporeo). Tutti e due i gruppi hanno perso lo stesso peso, stesso grasso viscerale ed epatico, ma il gruppo a dieta normoproteica ha presentato un miglioramento dell’insulino-sensibilità, a differenza del gruppo a dieta iperproteica. Sono cioè ancora insulino-resistenti. L’idea che mangiare tante proteine promuove salute è dunque sbagliata! Al contrario, una dieta iperproteica promuove insulino-resistenza, indipendentemente dalla perdita di peso e di grasso viscerale e promuove invecchiamento e cancro. Anche i batteri intestinali vogliono la loro parte. Tra tutti i nutrienti, proteine e fibre sono quelli che hanno l’impatto maggiore nel modificare tipologia e attività dei batteri che vivono nel nostro intestino. Una dieta povera di fibre sembra sia in parte responsabile dell’aumento delle malattie autoimmunitarie e allergiche che stiamo osservando. Insomma, il consiglio è: più fibre vegetali e meno proteine nella dieta.

ATTIVITÀ FISICA E DIETA PERSONALIZZATE
Un bravo personal trainer non può prescrivere lo stesso regime e programma di attività fisica a tutti gli atleti. Ogni atleta, in base alle sue caratteristiche genetiche e fisiche di allenamento, deve svolgere un diverso tipo di allenamento. E anche nel caso dei pazienti, stiamo scoprendo che il tipo di prescrizione, di modificazioni dietetiche e di attività fisica devono essere disegnate, scolpite, intorno a quello che è il substrato metabolico-molecolare di quella persona in quel momento. E non solo. È bene valorizzare anche il ruolo di training cognitivo, stress e sonno.

Benedetta de Mattei 



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