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Pausa caffé, Cassazione: “niente indennizzo in caso d'infortunio”

Un'impiegata si era rotta il polso in strada mentre andava al bar. La sentenza: "A rischio e pericolo del dipendente"

9 nov 2021
@pixabay
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La pausa caffè non è una esigenza impellente, ma una libera scelta. Da questo assunto la Cassazione ha accolto il ricorso dell'Inail contro indennizzo per malattia e riconoscimento di invalidità del 10% in favore di una impiegata della Procura di Firenze che si era rotta il polso cadendo per strada mentre, autorizzata, era uscita per un caffè.



In base a quanto scrivono i supremi giudici, non ha diritto alla tutela assicurativa dell'Inail chi affronta un rischio "scaturito da una scelta arbitraria" e "mosso da impulsi, e per soddisfare esigenze personali, crei e affronti volutamente una situazione diversa da quella inerente l'attività lavorativa", pur intesa in senso 'ampio', "con ciò ponendo in essere una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento" di infortunio. Per la Cassazione, infatti, la donna “si è volontariamente esposta ad un rischio non necessariamente connesso all'attività lavorativa - prosegue il verdetto - per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente". Irrilevante dunque “la tolleranza espressa dal soggetto datore di lavoro in ordine a tali consuetudini dei dipendenti”, perché l'infortunio non è riconducibile all'attività lavorativa.

La donna che aveva vinto in primo e secondo grado davanti a Tribunale e Corte di Appello di Firenze e ottenuto dall'Inail l'indennità di malattia assoluta temporanea e l'indennizzo per danno permanente del 10% in relazione alla caduta per strada avvenuta una mattina di luglio del 2010, ora - a 11 anni dai fatti e dopo aver atteso dal 2015 la fissazione dell'udienza in Cassazione per la valutazione della sentenza di secondo grado emessa nel 2014 - ha perso il diritto agli indennizzi ed è stata condannata a pagare 5.300 euro di spese legali e di giustizia.




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