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Studio Harvard: “Mortalità Covid-19 maggiore in aree più inquinate”

Secondo una ricerca dell'Università di Catania, “rischio epidemico Nord maggiore di quello del Sud”

di Filippo Mariotti
17 apr 2020
Elaborazione dell'Università di Catania
Elaborazione dell'Università di Catania

I pazienti Covid-19 nelle aree ad alto inquinamento prima della pandemia hanno maggiori probabilità di morire a causa dell'infezione, rispetto a pazienti che hanno vissuto in aeree più pulite degli Stati Uniti. È quanto emerge da un'analisi condotta dalla Harvard University T.H. Chan School of Public Health, il primo negli Stati Uniti su questo argomento, in base al quale elevati livelli di particelle PM 2.5 (tutte le particelle aventi dimensioni minori o uguali a 2,5 micron) sono associate a tassi di mortalità più elevati per il coronavirus. "I risultati di questo studio suggeriscono che un'esposizione prolungata all'inquinamento aumenta la vulnerabilità a sperimentare" i risultati peggiori dal coronavirus, affermano gli autori dello studio, secondo quanto riportato, fra gli altri, dal New York Times. In pratica ci sarebbe una “ampia sovrapposizione” fra i decessi causati da Covid-19 e altre malattie associate all'esposizione di lungo termine alle PM 2.5.

Su questo si espresso, durante la conferenza stampa dell'Istituto superiore di Sanità, dal presidente Silvio Brusaferro: "Il recente studio di Harvard che correla inquinamento e diffusione del Convid-19 è uno studio solido che sollecita una riflessione importante, però dobbiamo essere consapevoli che va fatta un'analisi di dettaglio. Dobbiamo approfondire questo argomento ed i ricercatori dell'Iss lavoreranno su questo tipo di scenario", ha riferito.

Altra ricerca, intitolata “Strategies to mitigate the Covid-19 pandemic risk”, quella di un team dei dipartimenti dell'Università di Catania di Economia e impresa, Ingegneria elettrica, Fisica e astronomia, Medicina clinica sperimentale, Matematica e informatica, Ingegneria civile e architettura. “Il rischio epidemico – si legge in una nota divulgativa - è più elevato in alcune delle regioni settentrionali dell’Italia rispetto alla parte centrale e meridionale. Da una analisi basata sui dati ufficiali messi a disposizione da parte dell’Istat, dell’Istituto superiore della Sanità e di altre agenzie europee, si è trovata una interessante e forte correlazione fra l’impatto della pandemia da Covid-19 e diversi fattori che caratterizzano in maniera diversa le regioni italiane quali inquinamento atmosferico da PM10, temperatura invernale, mobilità, densità e anzianità della popolazione, densità di strutture ospedaliere e densità abitativa”. "Spiega in particolare - aggiungono - perché regioni come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto stiano soffrendo molto di più rispetto al centro-sud. D'altra parte – argomentano - queste sono anche le stesse regioni che solitamente subiscono il maggiore impatto (in termini di casi gravi e decessi) anche per le influenze stagionali”. Motivo per cui al centro-sud “molto probabilmente l'impatto di questa pandemia e di possibili altre ondate future sarà sempre più lieve in termini di casi gravi e decessi a causa del minor rischio epidemico legato ai fattori strutturali trovati". Secondo lo studio, concludono, "in Italia, a causa di una fortissima percentuale di asintomatici o sintomatici lievi" ci possano essere al momento da uno a dieci milioni di persone che sono venute in contatto col virus" e un "impatto positivo è venuto dal lockdown".


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