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Cittadini Ue: reddito base per tutti, una possibile realtà. Come funziona

Michele Gianella: “Trovare i soldi perché la gente viva solleva più polemiche del trovarli perché la gente muoia”

di Davide Gresta Zucchi
29 apr 2022
Cittadini Ue: reddito base per tutti, una possibile realtà. Come funziona

Reddito di base”; “Reddito Universale”; “Basic Income”: tre nomi diversi per sostenere lo stesso concetto. Nel 2020 è stata realizzata un'ICE, ossia un'Iniziativa dei Cittadini Europei, che ha lo scopo di “Avviare redditi di base incondizionati in tutta l'Unione Europea, che assicurino a ciascuno la sussistenza e la possibilità di partecipare alla società nel quadro della sua politica economica”. L'ICE è uno strumento per chiedere che la Commissione Europea proponga una legislazione in una delle materie di competenza dell'UE. Il regolamento prevede che un'ICE debba essere firmata da almeno un milione di cittadini dell'Unione Europea, con un quorum da raggiungere in almeno un quarto degli Stati membri (quindi almeno 7 su 28, al momento).

I referenti per l’Europa dell'iniziativa sono l'austriaco Klaus Sambor e il tedesco Ronald Blaschke. Tra i membri che ne fanno parte, anche l'italiano Michele Gianella, che reputa l'obiettivo finale realistico, e spiega come “se si riuscisse ad arrivare a un milione di firme, la Commissione Europea sarebbe tenuta a discutere del tema”. Nel caso in cui non si raggiungesse il quorum, l’oggetto dell’Iniziativa sarà comunque presentato all’attenzione dei vertici UE, che ne prenderanno atto in proporzione al numero di firme raggiunto”.

Reddito di base e di cittadinanza: due cose diverse

Gianella precisa che è bene non confondere il Reddito di base col “Reddito di Cittadinanza” italiano che “ha in sé dei requisiti discriminatori, come per esempio la cittadinanza e l’indicatore reddituale ISEE, e di conseguenza sfugge agli immigrati e a molti altri aventi diritto". Il RdC, spiega, è stato il frutto di un compromesso politico del Movimento 5 Stelle con la Lega, ai tempi del primo governo Conte. Non si cumula al reddito lavorativo, se non in misura limitata, mentre il Reddito di base sarebbe cumulabile proprio per non scoraggiare al lavoro.

Riguardo all'importo, il RdC è attualmente molto inferiore a quello che si vorrebbe stabilire col reddito di base, che “è pensato per garantire la piena partecipazione alla vita in società, e la cifra è dunque calcolata considerando il 70% del reddito mediano dei vari Paesi” - argomenta Gianella. “In Italia si attesterebbe sui 700/800 euro al mese. Tra le fonti di finanziamento di questa misura si pensa a una tassa sulle transazioni finanziarie e a una sulle emissioni di anidride carbonica”.

Alla prevedibile obiezione di molta opinione pubblica su “dove si trovano i soldi”, ribatte che “ancora dieci anni fa era stato stimato che un reddito di base incondizionato in Italia costerebbe circa 35 miliardi di euro l’anno; ed è abbastanza deprimente constatare che per molta politica, e molta opinione pubblica, sia più problematico trovare e stanziare risorse perché la gente viva che trovarle perché la gente muoia, perché questo fanno le spese militari”. Il riferimento è alla recente proposta di destinare il 2% del budget italiano alla difesa (circa 37 miliardi annui). “Lì nessuno si è posto il problema di dove avremmo trovato i fondi: era scontato che, volendolo, li si sarebbe trovati. Col reddito di base, invece, l’obiezione delle coperture esce sempre. E con 2,6 milioni di disoccupati, 8 milioni di poveri, 5,5 milioni di poveri assoluti e 15 milioni a rischio povertà nel breve termine, ancora lo si taccia di essere immorale”.

Il reddito di base è spesso visto con sospetto in Italia. Proprio come il RdC, è stato spesso liquidato come un lasciapassare per gli scansafatiche, soprattutto dalle persone che già un reddito ce l'hanno e per ora stanno discretamente bene. “Bisogna superare questa narrazione tossica” - spiega Gianella - “e prendere atto che il reddito di base è sostenuto anche da esperti di finanza, e il beneficio sarebbe collettivo”.




Chi sostiene il Reddito di base

L’aspetto paradossale, infatti, è che negli ultimi anni la platea di chi si è speso in favore dall’argomento, si è composta sempre di più da persone molto ricche e potenti, che quindi meno ne avrebbero direttamente bisogno. Hanno dichiarato di volere il reddito di base: il CEO di Tesla, Elon Musk; il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg; Papa Francesco, che ha dedicato al Reddito di Base la chiusura del suo ultimo libro, “Ritorniamo a sognare”, e ha affermato la necessità di un Reddito di Base Universale il giorno di Pasqua del 2020; il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Gutierrez; l'economista e presidente del forum economico mondiale di Davos, Klaus Schwab; che ha parlato del tema anche nel suo libro “The Great Reset”; il fondatore della catena alimentare DM, Götz Werner, scomparso lo scorso 8 febbraio, e molti altri miliardari. “Mi piacerebbe trovare in Italia un sostenitore del Reddito di base paragonabile a Werner” - continua Gianella. “Per la sua storia professionale, l’italiano che più gli assomiglia è forse stato il fondatore di Esselunga, Bernardo Caprotti. Ve lo immaginate un Caprotti che va al Tg1 delle 20 a difendere il reddito di base? Ecco, in Germania è stata una realtà da anni”.

Werner sosteneva che la storia che ci hanno raccontato tutta la vita, ossia che bisogna lavorare per avere un reddito, non solo è sbagliata, ma andrebbe proprio invertita: “Bisogna avere un reddito per poter fare quella montagna di lavoro significativo che vorremmo fare, ma non possiamo perché siamo spesso costretti dalle circostanze a fare altro”. Apparentemente controintuitivo, ma vero; si pensi solo alle professioni artistiche, alle attività lavorative con fini sociali e umanitari, alle attività di cura e molte altre dove per la maggior parte delle volte la retribuzione, se c'è, è miserabile e imbarazzante. Solo che, chiaramente, a chi svolge un lavoro certificato, questo cambio di paradigma rischia di sfuggire, e quindi fatica ad accettare questa spiegazione.

I risultati finora raggiunti

La Slovenia ha superato il quorum già dall’anno scorso. Germania e Spagna si stanno avvicinando molto all'obiettivo finale. Rispettivamente hanno raggiunto circa l'83 e l'82% delle firme necessarie. In Spagna l'iniziativa è sostenuta dal partito umanista e ha dalla sua il sostegno fattivo di prestigiosi intellettuali di riferimento, quali Daniel Raventós. Anche in Germania la questione è molto sentita.

L'Italia, dopo aver arrancato per un anno e mezzo, ha appena fatto passi da gigante, recuperando 23 punti percentuali in meno di tre settimane e arrivando, mentre parliamo, al 73% del quorum (fonte: ubi-europe.net). Mancano allo stato attuale circa 14.000 firme circa per raggiungere il quorum di 53.580 firme: siamo secondi per numero assoluto di firme raccolte, dopo la Germania, e quarti in termini percentuali dopo Slovenia, Spagna e ancora Germania. Pessimi i risultati invece a Malta, dove ad oggi si è raggiunto meno dell'1,3% del quorum, ed è doveroso interrogarsi sul perché e analizzare il caso.

I motivi che possono portare alla non sufficienza di firme nei vari Stati possono essere molteplici: mancanza di informazione sull'iniziativa, nessun leader o personaggio politico di riferimento che promuova l'ICE e mancanza di fondi per pubblicizzarla. Inoltre, anche se informati, i cittadini meno coinvolti potrebbero non firmare anche se condividono l'idea del reddito di base, per il fatto che non si può firmare con un click come le petizioni che si vedono online. Bisogna invece inserire gli estremi di un proprio documento in un modulo presente su un server della comunità europea. "Questa farraginosità è scoraggiante, in una società dove l’obiettivo è l’esperienza frictionless". È vero che si può firmare anche con la Spid, ma non tutti ce l'hanno; e anche in quel caso non è proprio immediato.

Questione di volontà politica

Il reddito di base “locale” è già una realtà in vari posti. “La Catalogna sperimenterà a breve il Reddito di base” - dice Gianella - “In Finlandia è stato avviato un test di reddito di base incondizionato, anche se non universale, e si è già appurato che non disincentiva particolarmente al lavoro”. Poi continua: “Anche negli anni ’70, in una cittadina della campagna canadese, per cinque anni si è riusciti a realizzarlo. Poi è mancata la volontà politica di mantenerlo; ma da studi e analisi fatti anni dopo, è emerso che la gente si ammalava meno, era più felice, beveva di meno; e le uniche due categorie che lavoravano meno erano i giovani maschi adulti (che avevano la sicurezza finanziaria in famiglia per finire gli studi) e le neo-mamme, che passavano più tempo di qualità con i propri figli”. In Alaska esiste da decenni un modesto reddito di base, finanziato coi proventi della vendita del petrolio statale, e Gianella tiene a precisare che “5 anni fa, quando Hillary Clinton perse contro Donald Trump, poco dopo la sconfitta elettorale, un’intervista a Vox.com si aprì col suo rammarico per non aver posto maggior enfasi sul caso dell’Alaska durante la campagna elettorale”, dichiarando di aver a lungo valutato l’opportunità di inserire un reddito di base nel suo programma elettorale.

È necessario analizzare la questione proprio dal punto di vista politico, dal momento che è la politica che può determinare l’attuazione di quella che per molti è una grande speranza. “Uno dei partiti che maggiormente si è speso a proposito di questa tematica è il partito dei Verdi europeo, a differenza del partito dei Verdi italiano che non ha preso particolari posizioni. Anche molti piccoli partiti hanno accolto positivamente il Reddito Universale”. Tra i personaggi che in Italia hanno commentato positivamente il Reddito di base ci sono “Il leader di Articolo 1, Pierluigi Bersani; il fondatore di LeU, Pietro Grasso; il sindacalista Aboubakar Soumahoro, il filosofo Massimo Cacciari e naturalmente Beppe Grillo”. Inoltre, sul quotidiano diretto da Stefano Feltri, Domani, è stato pubblicato un cartello di firme per chiedere a gran voce il reddito di base, con nomi del calibro di Francesco Laforgia.

In conclusione

Al momento per l'ICE sul reddito di base sono state depositate più di 200.000 firme e ne mancano ancora molte prima di arrivare al quorum totale di un milione. La scadenza per la raccolta è fissata per il mese di giugno 2022, e Gianella dice che proveranno a chiedere “altri tre mesi di proroga”. Dopodiché si tireranno le somme sui risultati. Rimane fiducioso, come detto, e se anche non dovesse andare a buon fine sostiene che “i progressi non saranno lineari. Dopo decenni di ostilità, un giorno, improvvisamente, tutti la considereranno la cosa ovvia da fare. Se noi attivisti avremo fatto in modo che quel giorno arrivi un po’ prima, ne sarà comunque valsa la pena”.





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