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Matteo Messina Denaro: morto in un letto d'ospedale l'uomo che attaccò al cuore lo Stato

Dopo giorni di agonia, a seguito di un coma irreversibile, la notizia del decesso del boss di Cosa Nostra

25 set 2023

Il boss Matteo Messina Denaro, arrestato il 16 gennaio scorso dopo 30 anni di latitanza, è morto, poco prima delle 2 della notte passata, nell'ospedale de l'Aquila dove era ricoverato, in una stanza blindata, da agosto. Il capomafia, 62 anni, era malato da tre anni di tumore al colon. Venerdì, era stato dichiarato in coma irreversibile. I medici, sulla base delle indicazioni date dal paziente, che nel testamento biologico ha rifiutato espressamente l'accanimento terapeutico, nei giorni scorsi gli hanno interrotto l'alimentazione.

Noi di RTV lo definimmo “l'ultimo padrino”, in un reportage Premio Ilaria Alpi di dieci anni fa. Ed effettivamente con l'uscita di scena di Matteo Messina Denaro sono in molti a scommettere sulla fine della mafia che conoscevamo; quella verticistica e rigidamente strutturata della cosiddetta “vecchia guardia”. Quella che colpì lo Stato nel modo più brutale: le stragi del '92, che costarono la vita ad eroi come Falcone e Borsellino; gli attentati dell'anno successivo a Milano, Firenze e Roma. Il boss di Castelvetrano fu tra i protagonisti di quella sfida scellerata; condannato all'ergastolo per decine di omicidi. Al netto delle speculazioni sulla possibile successione, resta tuttavia una realtà – ad avviso di vari analisti - l'ecosistema criminale; capace di inquinare l'economia e la società siciliana. E di esercitare violenza; anche in modo disordinato. Fenomeni da decifrare, ora che l'epopea nera di Messina Denaro è giunta all'epilogo. Quello definitivo in un letto dell'ospedale de l'Aquila, dopo un coma irreversibile determinato da un tumore al colon in fase terminale. Il 16 gennaio i titoli di coda della sua carriera di fuorilegge, quando venne arrestato mentre si recava in una delle cliniche più prestigiose di Palermo. Era un fantasma dal '93; e il suo farsi beffe dei mandati di cattura, le voci di una sua latitanza tra lussi ed eccessi, ne avevano accresciuto il fascino criminale. Spietato e pragmatico; al contempo a suo agio nei panni del cosiddetto uomo d'onore. Dopo la cattura aveva subito messo in chiaro che non avrebbe mai collaborato con la Giustizia. Se non fossi stato malato non mi avreste mai preso, avrebbe detto agli inquirenti. Ignorando volutamente 30 anni di indagini instancabili. La sua più grande sconfitta, forse, gli abbracci della gente comune di Palermo alle Forze dell'Ordine, in quella giornata storica per l'intera Italia.





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