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Riccione: turni massacranti con stipendi da fame, scattano i sigilli per un kebabbaro

28 feb 2023

Chi lavorava nel negozio di kebab doveva rispettare regole rigide, turni di 15 ore al giorno, accontentarsi di uno stipendio da fame, consegnare il passaporto e non raccontare niente a nessuno. Ma è grazie alla segnalazione di uno straniero sfruttato al limite della schiavitù, che i Carabinieri di Riccione hanno fermato l'attività di kebab, gestita da una famiglia di origine turca, padre, madre e figlio. Il negozio era una fabbrica di sfruttamento di manodopera fatta arrivare da Pakistan, Afghanistan, Marocco, Tunisia e Turchia e sfruttata soprattutto nelle stagione estiva. Giovedì scorso i Carabinieri di Riccione hanno eseguito tre misure di cautelari, due arresti ai domiciliari, il padre e il figlio, e obbligo di presentazione alla Pg per la madre, dopo avere ricostruito, coadiuvati dal nucleo dell'Ispettorato del lavoro di Rimini e del Nas di Bologna, un sistema di moderna schiavitù che, nell'ipotesi della Procura di Rimini, configura il reato di sfruttamento del lavoro.

Partita nel luglio 2022, l'indagine ha portato alla luce un mondo di prevaricazione fisica e psicologica, fatto di stipendi da fame e soprusi di ogni genere imposti dopo il ritiro del passaporto o del permesso di soggiorno. I casi accertati sono almeno cinque, ma se ne ipotizzano molti di più visto il veloce turnover al negozio. Secondo quanto ricostruito i datori di lavoro controllavano i dipendenti anche da remoto con telecamere e dopo avergli sottratto il passaporto li costringevano a turni di lavoro di oltre 15 ore, con una retribuzione minima. Ad alcuni venivano trattenuti i passaporti e i permessi di soggiorno, cellulari e effetti personali. Le condizioni alloggiative erano degradanti: alcuni lavoratoti venivano fatti dormire addirittura all'interno dei locali dell'attività commerciale, nello specifico, in un ripostiglio, sopra la cella frigorifera e, in un caso, persino all'interno dell'autovettura del datore di lavoro. Il gip del Tribunale di Rimini, Vinicio Cantarini ha anche disposto il sequestro preventivo dei beni dei tre indagati per un importo pari a 25.000 euro e dell'esercizio commerciale.





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