
Il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità del divieto imposto dal Comune di Rimini sui manifesti antiabortisti di Pro Vita e Famiglia Onlus. I manifesti, affissi nel 2020, associavano la pillola abortiva RU486 a un veleno, con l’immagine di una donna priva di coscienza accanto a una mela, evocando la favola di Biancaneve. Secondo i giudici, la campagna promossa dall’associazione, pur rientrando nel diritto alla libera manifestazione del pensiero, veicolava un messaggio ingannevole e scientificamente infondato.
Pro Vita aveva contestato il potere autorizzativo della giunta comunale, appellandosi all’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di stampa. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha ribadito che un farmaco approvato da AIFA e Ministero della Sanità non può essere equiparato a un veleno, sottolineando che il diniego del Comune non ha censurato le opinioni sull’aborto, ma ha escluso contenuti falsi e potenzialmente lesivi per la salute pubblica.
Da Palazzo Garampi, soddisfazione per una sentenza che “riconosce il diritto dell’ente pubblico di intervenire contro messaggi fuorvianti e privi di fondamento scientifico”. La decisione è stata accolta positivamente anche dalle associazioni femministe, come “Non una di meno” e “La casa delle donne”, che definiscono la campagna di Pro Vita “violenta e lesiva della dignità femminile”.
Secondo gli attivisti pro-choice, il principio attivo della pillola, il Mifepristone, è un farmaco testato e sicuro, utilizzato da oltre vent’anni in molti paesi. Dichiarare che sia un veleno potrebbe scoraggiare l’uso dell’aborto farmacologico, esponendo le donne a rischi maggiori legati a interventi chirurgici. Inoltre, diffondere falsità su un medicinale approvato potrebbe generare sfiducia verso le istituzioni sanitarie e provocare allarmi infondati con ricadute sull’ordine pubblico.
Le sentenze, di fatto, confermano il diritto di fare campagne antiabortiste, ma ribadiscono che non è consentito utilizzare messaggi falsi e pericolosi.