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Gaza: concordato un prolungamento del cessate il fuoco tra Israele ed Hamas per altri due giorni

L'intesa prevede la liberazione, complessivamente, di altri 20 ostaggi. Oggi l'ultimo giorno della tregua originariamente concordata dai belligeranti

27 nov 2023

Un continuo alternarsi di angoscia e speranza per le famiglie dei rapiti; e per la gente di Gaza, che dopo un mese e mezzo di sofferenze, lutti e distruzioni, da qualche giorno è tornata a respirare. Destini connessi; mentre prosegue sottotraccia l'azione diplomatica di Egitto e Qatar: attori chiave, in questa fase. Da Doha un annuncio atteso: il raggiungimento di un accordo per la proroga di due giorni del cessate il fuoco, con il rilascio di altri ostaggi in cambio di detenuti palestinesi. Dopo donne e minori potrebbe essere il turno di uomini anziani. Piuttosto complessa, per il resto, l'ultima delle 4 giornate di tregua originariamente previste.

Contestazioni reciproche, sulle liste dei nominativi delle persone da liberare: 11 da una parte, 33 dall'altra. Lo Stato Ebraico avrebbe ricordato il vincolo di non separare le madri dai figli. Negoziazioni, nervosismo. Alla fine è comunque stata trovata un'intesa; lo scambio in serata, mentre dal valico di Rafah continuano ad affluire aiuti umanitari. Resta tuttavia un'incognita ciò che accadrà in prospettiva. Stati Uniti e NATO avevano insistito per un'estensione della pausa delle ostilità. Più strutturale la formula invocata dall'ONU: rilascio incondizionato dei rimanenti ostaggi - sarebbero 184, quelli ancora detenuti nell'exclave -, “cessate il fuoco umanitario totale” e “passi irreversibili” verso una soluzione a “due Stati”.

L'Iran – che considera Washington “parte della crisi” - auspica dal canto suo un protrarsi sine die della tregua. Che inevitabilmente si tradurrebbe in una vittoria, per la propaganda di Hamas. Da qui il dilemma strategico di Israele: che per salvaguardare ciò che resta della propria deterrenza – dopo il trauma del 7 ottobre – sente l'esigenza di tornare a combattere, per cancellare la presenza delle fazioni armate dalla Striscia. Sul punto Netanyahu è stato chiaro, così come il Ministro della Difesa Gallant, che aveva paventato altri due mesi di guerra. Ma a livello internazionale queste scelte hanno un impatto, come dimostrano le prese di posizione di varie cancellerie occidentali.

Senza contare le tensioni crescenti in Cisgiordania, ed il rischio costante di un'escalation a livello regionale. Il ritorno ad un approccio militare “non rimarrà senza risposta”, ha ammonito Teheran, che conta su un'agguerrita rete di proxy nell'area. Israele ha già risposto con nuovi attacchi sull'aeroporto di Damasco, contro presunti asset di Hezbollah ed altre milizie filo-iraniane.





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