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Smi: 40 famiglie aspettano di rivedere i propri risparmi

2 mag 2021
Smi: 40 famiglie aspettano di rivedere i propri risparmi

Quanto ancora bisogna aspettare prima che la magistratura si decida a far luce sulla vicenda di SMI? Gli anni passano, i governi si avvicendano, ma lo stallo rimane: sono ben 9 primavere che le 40 famiglie di risparmiatori della nota società finanziaria attendono di vedersi restituito il maltolto. Eppure l’antica Repubblica, che nel Preambolo della Dichiarazione dei diritti dei cittadini e dei principi fondamentali del suo ordinamento si vanta di professare “gloriose tradizioni di libertà e di democrazia”, non ci vuol sentire. L’unico passo fatto, ma in retromarcia, è il decreto con cui il 2 aprile scorso il Tribunale ha disposto l’archiviazione e la contestuale trasmissione al Procuratore del Fisco per il parere sulla stessa; pronuncia che lascia non poche perplessità, soprattutto di rito, dato che il merito non è stato proprio considerato. Ma poiché i provvedimenti giudiziari non si commentano, bensì si rispettano, come recita pressappoco in questi termini il vecchio adagio, occorre interrogarsi sulle tante, troppe anomalie che (ancora) gridano chiarezza, a partire dalla pietra dello scandalo: perché i commissari liquidatori, nella nota di deposito dello stato passivo in Tribunale, hanno dichiarato l’insussistenza del credito vantato da un soggetto che invece, in via giudiziale, era appena stata accertata? E perché i componenti del Comitato di Sorveglianza di SMI che avrebbero dovuto collaborare con i commissari si sono dimessi in blocco? Cosa c’era da nascondere per indurre il Tribunale a disporre la segretazione delle indagini? Com’è possibile che non è stata svolta alcuna attività istruttoria? E’ davvero questo il livello di civiltà giuridica di un Paese che dal 1988 siede al Consiglio d’Europa, il cui scopo è proprio quello di promuovere la democrazia e il riconoscimento dei diritti umani? In attesa che il Procuratore del Fisco emetta il suo parere su questo decreto di archiviazione, c’è però qualcuno che può fare ancora qualcosa: la Banca Centrale. Confidiamo che si ricordi cosa è scritto nel proprio Statuto, che la vede deputata alla vigilanza sul settore bancario, finanziario e assicurativo, e cosa reca l’art. 2 del Decreto Delegato 17 dicembre 2018, n. 168, che col nuovo comma 1-ter non lascia adito a dubbi: “Qualora, con riferimento a fatti avvenuti negli ultimi dieci anni, non sia stata effettuata alcuna indagine da parte dell’autorità giudiziaria o questa si è conclusa con archiviazione per estinzione del reato, l’accertamento circa la sussistenza dei presupposti affinché il richiedente possa richiedere l’accesso al fondo (fondo straordinario a tutela delle frodi finanziarie, ndr), dovrà essere effettuata da Banca Centrale, la quale dovrà fare una verifica sulla presumibile esistenza della frode o della truffa di cui al comma 1, sulla base della documentazione presentata”. Ora, se il principio secondo cui “la Repubblica assicura pari dignità sociale e uguale tutela dei diritti e delle libertà” (art. 4, comma 3, della summenzionata Dichiarazione) ha ancora un senso, contiamo che venga applicato anche ai risparmiatori della SMI; altrimenti ci penserà la giustizia internazionale a scrivere l’epitaffio sulla reputazione di San Marino.


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